Tipologia: Notizia

Tag: Minoranze

Categoria:

Linee della discordia

A partire dal 2004 la Macedonia ha visto una progressiva diminuzione di intensità dello scontro tra le due principali comunità che vi vivono. Ora sembrano però riprendere forza piattaforme politiche di natura etnica

15/07/2009, Risto Karajkov - Skopje

Linee-della-discordia1

Piatttaforme politiche di natura etnica sembrano riprendere respiro in Macedonia. Più politici hanno recentemente posto sul tavolo progetti di riorganizzazione dello stato, essenzialmente su linee etniche. Anche se molte di queste proposte hanno un carattere di mera propaganda in cerca di consenso, altre sembrano essere l’espressione di convinzioni profonde. Al momento è difficile individuare conseguenze immediate di tali proposte, ma la loro articolazione mostra che progetti di natura etnica per la Macedonia non sono del tutto tramontati.

Per molti, le relazioni interetniche in Macedonia non sono mai state così buone dall’indipendenza del paese, ottenuta nel 1991. L’accordo politico che ha posto la creazione di coalizioni tra partiti macedoni e albanesi come precondizione alla nascita degli esecutivi, ha portato stabilità. Lo scontro politico è poi ben più aspro all’interno dei blocchi etnici che verso l’esterno. I due prinicipali partiti albanesi, l’Unione democratica per l’integrazione (DUI) e il Partito democratico degli albanesi (DPA) si vedono come il fumo negli occhi, e lo stesso si può dire delle due maggiori formazioni macedoni, Il VMRO-DPMNE, ora al governo, e i socialdemocratici (SDSM), ora all’opposizione.

Tutti sembrano aver imparato a gestire i rapporti lungo e attraverso le linee di divisione etnica. Il VMRO-DPMNE ha condiviso il potere sia col DPA (1998-2002) che con la DUI (nell’attuale esecutivo). Il SDSM ha governato con la DUI (2002-2006), e ci sono segnali che indicano un riavvicinamento tra "vecchi nemici" come il leader del SDSM Branko Crvenkovski e il presidente del DPA Menduh Taci.

Lo scontro etnico ha visto una graduale diminuzione di intensità a partire dal fallito referendum del 2004. Il VMRO, allora all’opposizione, chiamò gli elettori al voto nel tentativo di fermare la riorganizzazione territoriale voluta dalla maggioranza targata SDSM-DUI. Il progetto contestato ha creato nuove municipalità a maggioranza albanese, garantendo così a questo gruppo etnico un maggiore controllo sulle amministrazioni locali. La "crisi del referendum" portò la tensione al massimo, e fece temere un ritorno alle violenze del 2001. Fortunatamente, però, il referendum venne rigettato, anche grazie al forte coinvolgimento della comunità internazionale, Stati Uniti in testa.

Da allora i rapporti interetnici si sono gradualmente normalizzati, e si è tornati ad indicare la Macedonia come un esempio positivo di tolleranza e convivenza. Almeno nei Balcani, il paese resta l’unico caso di multiculturalismo funzionante.

Naturalmente, però, ci sono sempre dei "ma". Negli ultimi mesi c’è stato infatti un ritorno alla ribalta dei "progetti etnici". Niente di radicale, ma comunque tesi che ci fanno ricordare che vivere insieme è un processo che ha bisogno di aggiustamenti e rinegoziazioni continue.

Subito dopo essere stato eletto sindaco di Gostivar, nelle elezioni amministrative dello scorso marzo, Rufi Osmani, un eroe della causa albanese negli anni ’90, per cui ha subito anche la galera, ha dichiarato che gli accordi di Ohrid, che misero la parola fine alla guerra del 2001 e che definiscono l’assetto costituzionale della Macedonia, non sono soddisfacienti e che dovrebbero essere rimpiazzati nel tempo da uno stato bi-nazionale.

"Le mie parole non devono essere intese come un ultimatum, o uno stato bi-nazionale o una nuova guerra", ha precisato Osmani in una recente intervista per il canale "A1 TV", "e io non sostengo affatto questa tesi. Ci sono altri strumenti, di carattere democratico, per raggiungere questo obiettivo".

Osmani sostiene che si tratta di un progetto di lungo termine, che dovrebbe essere discusso in un periodo politicamente ed economicamente più rilassato, possibilmente dopo l’ingresso nella NATO e nell’Unione Europea. Osmani si è detto consapevole del fatto che nessun partito macedone sarebbe pronto a discutere l’idea al momento, facendo poi riferimento ad una cornice temporale di circa dieci anni, tempo entro cui il progetto sarebbe verosimilmente realizzabile.

E’ evidente che le dichiarazioni di Osmani non nascono dalla ricerca di consenso facile, essendo state fatte dopo la sua trionfale vittoria a Gostivar, ma esprimono una sua reale convinzione politica. Osmani è in procinto di creare un suo partito. Vista la sua popolarità tra gli albanesi di Macedonia, emersa proprio al tempo delle elezioni, dove la sua candidatura solitaria è riuscita a battere la macchina elettorale della DUI, la nuova formazione di Osmani potrebbe divenire presto un importante fattore politico nel paese.

I principali partiti albanesi hanno commentato le parole di Osmani con una certa dose di ironia. La DUI ha dichiarato che l’argomento è ormai obsoleto, e risolto dagli accordi di Ohrid, che definiscono gli albanesi come "comproprietari" dello stato, e non più come minoranza. A quanto pare, però, i semi lanciati da Osmani hanno fatto presto a dare i primi frutti, visto che a poca distanza anche il DPA ha iniziato a promuovere idee del tutto simili.

Dopo aver perso nel 2008 la fiducia del suo precedente partner di coalizione – il premier Nikola Gruevski, soprattutto a causa delle gravi irregolarità promosse dal DPA durante il processo elettorale di quell’anno – il suo leader Menduh Taci ha rafforzato il tono nazionalista delle sue esternazioni. Dopo le elezioni amministrative, Taci ha dichiarato che gli accordi di Ohrid sono ormai morti, che gli albanesi di Macedonia vengono nuovamente umiliati, che l’attuale coalizione di governo tra VMRO e DUI ha portato al governo profittatori di guerra. Alcuni giorni fa Taci ha approvato la nuova piattaforma politica del DPA, col quale si richiede un nuovo "accordo storico" tra albanesi e macedoni, per garantire piena parità per i primi rispetto ai secondi. Tra le varie proposte, il documento chiede una de-etnicizzazione dei simboli dello stato, tra cui la bandiera e l’inno nazionale, una presenza albanese in almeno uno dei tre posti chiave del governo (premier, presidente e presidente del parlamento), una nuova organizzazione territoriale su linee etniche e culturali e via dicendo.

"Non è necessario cambiare la bandiera", ha dichiarato Taci, "ma non dovrebbe più essere chiamata ‘bandiera macedone’". Taci ha annunciato che proporrà questa piattaforma politica alle prossime elezioni politiche, e su questa chiederà il voto dell’elettorato albanese. Se dovesse registrare una vittoria, assicura il leader del DPA, queste richieste dovranno essere ascoltate.

Cavalcando la stessa onda retorica, a fine giugno tre piccoli partiti radicali albanesi hanno organizzato una manifestazione di fronte al monumento a Skanderbeg a Skopje, chiedendo la federalizzazione della Macedonia. All’evento si sono presentati non più di cento manifestanti, tra cui studenti delle due maggiori università albanesi del paese, la statale di Tetovo e la South-east Europe University. Alcuni insegnanti dei due istituti hanno dichiarato che i propri studenti sono stati manipolati, mentre altri hanno definito la loro iniziativa come normale espressione della libertà di espressione politica. In ogni caso, le richieste di federalizzazione espresse son rimaste inascoltate dai partiti albanesi più importanti.

Sebbene il rinnovato interesse per "progetti etnici" provenga soprattutto da parte albanese, anche da parte macedone qualcuno ha cominciato a rispolverare idee simili. Il VMRO-NP (frazione distaccatasi dal partito di maggioranza) ha chiesto a sua volta una riorganizzazione territoriale, con un aumento delle munipalità su linee etniche. Secondo il partito anche i macedoni dovrebbero avere loro municipalità nelle aree del paese a maggioranza albanese, godendo così di maggiori poteri sull’amministrazione locale.

"Non dobbiamo aprire il vaso di Pandora", ha replicato alla proposta il vice-presidente della DUI Rafiz Aliti, "non abbiamo bisogno di municipalità monoetniche. Negli ultimi quattro anni abbiamo visto come amministrazioni multietniche possono funzionare molto bene. Non bisogna creare ghetti".

Le parole di Aliti, lui stesso un ex-combattente nel conflitto del 2001, sembrano ragionevoli. L’idea proposta dal VMRO-NP non sembra lucida, anche se il nazionalismo non si è mai distinto per un approccio ragionato ed equilibrato.

E’ forte la sensazione che molti attori politici usino tali proposte in modo egocentrico e a fini elettorali, senza darsi troppo pena per i possibili danni. Altri hanno invece un sincero approccio radicale. Tutti dovrebbero però fare dei passi indietro: la Macedonia ha già visto le possibili conseguenza di una contrapposizione etnica, perché tornare su quei passi?

In un modo o nell’altro, comunque, le "linee etniche" tornano all’ordine del giorno.

editor's pick

latest video

news via inbox

Nulla turp dis cursus. Integer liberos  euismod pretium faucibua

Possono interessarti anche