Lettere da Creta: da Sougia ad Agia Roumeli, sapore d’origano
Adagiato in una grotta, aspettando che spiova, con lo sguardo posato su una macchia mediterranea che luccica, musicata dal vento. Prosegue il nostro viaggio con Fabio Fiori, esplorando Creta
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Sono arrivato a Sougià ieri nel tardo pomeriggio, sotto un cielo plumbeo di Scirocco. Pochissima gente nelle stradine polverose di questo piccolo paese di confine. Un confine montuoso che si affaccia sul mare, ultimo avamposto stradale posto a oriente dei magnifici e imponenti Lefka Ori. Le Montagne Bianche che i cretesi chiamano anche Madàres, montagne calve, con vette che superano i 2400 metri. Sono attraversati solo da spettacolari farangi, lunghe e strette gole scavate dall’acqua che scende a precipizio dalle vette al mare, in meno di 10 chilometri. Veri e propri canyon, alcuni molto noti e visitati d’estate come quello di Samarià, altri più brevi e meno conosciuti, altrettanto suggestivi. Ma le Montagne Bianche sono attraversate anche da sentieri remoti e leggendari, dove il tempo si è fermato. Montagne che furono per settimane il rifugio di Patrik Leight Fermor, impegnato con un manipolo di militari inglesi e partigiani cretesi nell’incredibile rapimento del generale tedesco Heinrich Kreipe, nell’aprile 1944, quando l’isola era da qualche anno sotto l’occupazione nazista. All’epoca “i montanari e i pastori che abitavano lassù, ben al di sopra delle pianure e delle città, facevano la stessa vita dei ribelli clefti in qualunque epoca degli ultimi secoli”, scrive Fermor. Per quasi tre anni queste montagne furono la loro casa, proteggendoli dal nemico. “È così che prese radici un’autentica devozione verso le montagne della Grecia e i loro abitanti, dopo ore e ore passate a scarpinare, al di sopra dei villaggi più vertiginosi. Vivevamo negli stabbi delle capre, nelle capanne coniche abbandonate dai formaggiai e specialmente nelle innumerevoli grotte che per fortuna crivellano l’erta dorsale dell’isola”.
In una di queste grotte mi sono rifugiato anche io adesso, a pochi chilometri di Sougia in direzione Agia Roumeli. Perché lo Scirocco, che soffia forte da ieri, ha schiacciato nuvole nere sulle vette dei Lefka Ori e adesso diluvia. Non è proprio una grotta, ma un piccolo, basso antro, comunque sufficiente per mettermi seduto al riparo dalla pioggia battente. Di fronte a me una macchia mediterranea che luccica e, musicata dal vento, sembra ringraziare il cielo di questa benedetta acqua. Più lontano il mare è più plumbeo del cielo, punteggiato dai bianchi cavalloni mossi dallo Scirocco. Agia Roumeli dista da Sougia una quindicina di chilometri e il dislivello stimato è di circa 600-700 metri. Sono solo le 10 e quindi posso aspettare anche qualche ora, nella speranza che spiova. Nel frattempo faccio una seconda colazione, minimale ma profumatissima: due fette di pane fresco acquistato un’ora fa in paese, un filo d’olio e sale, con origano raccolto sul sentiero. Anche questi, o soprattutto questi sono i regali del sentiero, le gioie del viandante. A patto che le intemperie meteorologiche siano vissute come temperie esperienziali, che il cammino sia anche osservazione, ricerca e qualche volta raccolta di erbe, semi, bacche e frutti selvatici. In ogni stagione, su ogni sèmita possiamo trovare qualcosa da conoscere e qualche volta da mangiare, dando più sapore al viaggio. Oggi dunque origano che solo qui in questa grotta sulle pendici meridionali delle Montagne Bianche associo proprio a “ori”, montagna!, annoto sul taccuino. Verifico ora su un vocabolario etimologico che era proprio la strada, anzi il sentiero giusto. Origano, ori-ganon, due parole greche di etimologia oscura ma che popolarmente vengono tradotte in “splendore della montagna”. Splendono le foglioline verdi che punteggiano questa phrygana splendono i fiorellini rosa che colorano questi giorni di primavera, splendono i profumi che tutto l’anno accompagnano il viandante su questi sentieri mediterranei.
Dopo aver mangiato, scrivo, leggo e faccio un sonnellino. Una pausa forzata diventa così l’occasione per fare un’altra piccola esperienza ancestrale, per vivere anche solo per due ore in una grotta, come un antico pastore cretese. Quando riparto, lo Scirocco continua a soffiare furioso, ma in cielo si sono aperti dei varchi tra le nuvole e il Sole di tanto in tanto appare e illumina la scena. Luci e ombre, uno spettacolo cinematografico, in cui il protagonista è il paesaggio costiero bifronte: le rocce aspre e profumate, le acque salate e altrettanto odorose.
Al villaggio semideserto in questa stagione di Agia Roumeli, raggiungibile solo a piedi o per mare, arrivo nel pomeriggio. Poche case, cresciute in fretta e confuse, ad uso turistico, dipinte di bianco, nella piccola piana che si apre nello sbocco meridionale della Gola di Samariá. Non avrò tempo per camminare nei 12 chilometri di questa spettacolare ferita litica. Ho però passato le due ore del crepuscolo tra le rovine di Tarra e lì, come a Lissos, il vento mi ha confermato ancora una volta che “l’uomo è nato dal suono, la sua essenza rimarrà sempre sonora”, riprendendo le parole di Marius Schneider.
Nella notte finalmente lo Scirocco si placa e al mattino posso prendere il traghetto ANENDIK che in un paio di ore mi riporta a Paleochora. A bordo, oltre ai 5 di equipaggio siamo solo in 7. Due signore anziane e pensierose, immobili come cariatidi, sedute sulle poltrone interne. Una giovane famiglia, con due bambini festosi che si rincorrono per tutto il tempo. Una coppia svizzera di mezza età, di poche parole, con cui faccio solo due chiacchiere sulle coincidenze dei bus per andare a Rethimno. Una navigazione, anche breve a bordo di uno di questi piccoli traghetti, è sempre un modo per rinnovare la relazione tra ánemos, nisiá e thálassa, costitutiva della grecità. Una cultura che invita al viaggio, che fa dire a un marinaio di Odisseo, nel racconto che dell’arrivo a Creta fa Kazantzakis: “Per Dio, più che di pane e vino, la mia anima / è ansiosa di vedere e percorrere questa terra!”.
ps
Ai Monti Bianchi e all’Ida, la più alta delle montagne cretesi, dedica pagine appassionate Patrick Leigh Fermor, viaggiatore e scrittore inglese, nel suo Rumelia. Viaggi nella Grecia del Nord, del 1966 e pubblicato da Adelphi nel 2021. Il titolo, anche quello originale inglese, come la piantina “nasconde” invece brevi ma intensi racconti di Creta che “impresse il sigillo finale alle mie brame regressive”, scrive Fermor. “Essa infatti, nonostante l’orgoglio degli isolani, il loro distacco dalla terraferma e la peculiarità del loro dialetto e delle loro tradizioni, è un compendio della Grecia intera”. Un libro che disvela un’importante partizione e una teoria privata, definita dilemma elleno-romanico”. In breve;“ “Elleno” evoca le glorie dell’antica Grecia, “romanico” gli splendori e le pene di Bisanzio”1. E per Fermor dentro ogni greco si celano questi due caratteri contrapposti2.
1 PLF ivi, p. 123
2 Ivi, 130
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