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Area: Kosovo,Serbia

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La promessa europea

L’offerta è accelerare l’iter Ue della Serbia per lo status di candidato. In cambio, toni concilianti nella risoluzione di Belgrado all’Onu. Ecco i retroscena della notte di trattative tra la responsabile della politica estera Ue, lady Ashton, e il presidente serbo Tadić. Ma lo scenario resta mobile, a partire dall’incognita olandese

13/09/2010, Željko Pantelić - Bruxelles

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L’Alta Rappresentante per la politica estera dell’Unione europea Catherine Ashton avrebbe promesso al presidente serbo Boris Tadić che la Ue inizierà un iter per garantire in tempi brevi alla Serbia lo status di candidato.

L’offerta sarebbe maturata nella notte in cui hanno trovato l’accordo sul testo della risoluzione da presentare all’Onu, replica serba al parere positivo della Corte internazionale di giustizia (CIG) sulla dichiarazione dell’indipendenza del Kosovo.

Malgrado le buone intenzioni della baronessa britannica e la svolta nelle relazioni tra Belgrado e i più importanti Paesi Ue – che sono state molto tese negli ultimi mesi a causa della politica serba sul Kosovo – non è scontato che il Consiglio dei ministri inoltrerà così rapidamente la richiesta serba per lo status di candidato alla Commissione europea (il primo passo nella procedure per l’adesione Ue).

La diga olandese

"Ci pare che di nuovo si stiano facendo i conti senza l’oste. In questo caso l’oste sono gli olandesi. D’altro canto, il tema Kosovo non è un trampolino per accelerare il passo verso Bruxelles. Caso mai, la Serbia può solo mettersi ancora più nei guai se non sarà costruttiva sul Kosovo.

Il vero e per ora unico mezzo di rendere più rapido il percorso Ue di Belgrado è l’arresto di Ratko Mladić" ammoniscono i diplomatici che seguono da tempo il dossier serbo.

L'Alto Rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton (European Parliament / Flickr)

L’Aja fin dall’inizio, come questione di principio, insiste sulla piena cooperazione con il Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra in ex Jugoslavia (TPI), quale condizione regina per fare passi avanti nelle integrazione europee.

Non solo il TPI ha infatti sede proprio nella capitale amministrativa dei Paesi Bassi, ma il governo olandese del primo ministro Wim Kok cadde nel 2002 per le presunte responsabilità dei soldati olandesi nel genocidio in Srebrenica, perpetrato nel 1995 dai serbo-bosniaci guidati dal generale Ratko Mladić.

Gli olandesi hanno dimostrato in diverse occasioni (l’arresto di Radovan Karadžić, ex presidente di Republika Srpska; l’accordo tra Serbia e Ue su Eulex, la missione europea in Kosovo) che per loro solo l’arresto di Mladić significherà che la Serbia ha adempiuto al suo compito.

La tegola olandese è ancora più pesante per il fatto che i partiti vincitori alle elezioni olandesi del giugno scorso non sono riusciti ancora a trovare un accordo per formare il nuovo governo.

Nuovi alleati per Belgrado?

"Il lato positivo del quadro attuale è che a differenza dei mesi scorsi, quando i Paesi amici della Serbia nella Ue, come Spagna, Italia e Grecia, cercavano di aprire la porta alla candidatura di Belgrado, adesso la baronessa Ashton, ma anche il ministro degli Affari esteri tedesco Guido Westerwelle, si sono assunti il compito di far partire la procedura per la candidatura serba.

Ora dovrebbero lavorare con gli olandesi per aprire la porta alla Serbia" conferma un diplomatico europeo, interpellato da Osservatorio.

Secondo il nostro interlocutore la prima data utile in cui Belgrado potrebbe fare il prossimo passo sarà il 25 ottobre, quando i ministri degli Esteri dei Ventisette si troveranno a Lussemburgo al regolare appuntamento mensile.

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