La grande rissa
Uno scontro intestino in seno alla Comunità islamica di Macedonia, rimasta oramai senza leadership. Da una parte un gruppo di Imam dissidenti, dall’altra il mufti di Skopje che, a detta di molti, spalleggia pericolosamente l’lslam radicale per mantenere ed allargare il proprio potere
Di Risto Karajkov
Da oramai più di un anno la Comunità islamica della Macedonia, l’organizzazione che rappresenta le persone di fede musulmana nel Paese, è lacerata da divisioni interne caratterizzate, negli ultimi mesi, da scontri sempre più violenti.
Pestaggi, sparatorie, rapimenti, minacce, segnali reputati allarmanti e preoccupanti non solo dalle autorità locali ma anche dalle intelligence occidentali.
Difficile comunque farsi un’idea di quanto stia accadendo, anche perché chi è coinvolto è riluttante a rilasciare interviste e dichiarazioni pubbliche: ciò che oramai risulta evidente è che in seno alla comunità musulmana di Macedonia si rischia oramai un vero scisma.
Tutto porta a concludere che un’ala radicale, guidata dal controverso ex mufti di Skopje Zenon Berisha, stia cercando di assumere il ruolo guida della comunità senza farsi molti problemi sulla scelta dei mezzi per raggiungere questo obiettivo.
Zenon Berisha è stato eletto come mufti di Skopje oramai parecchi anni fa, in elezioni che molti hanno definito manipolate ma che ciononostante erano state riconosciute dal Reis Ulema Arif Emini, massima carica istituzionale della comunità musulmana nel Paese. Berisha viene accusato di aver gestito il proprio incarico da vero e proprio autocrate. Un esempio? Due anni fa – dopo non aver ricevuto il supporto politico degli Imam del Paese su una sua proposta – ha bloccato i loro stipendi.
Berisha ha preferito lavorare con una cerchia ristretta di fedelissimi. Dato il persistere di questa situazione la comunità degli Imam ha richiesto al Reis la revoca dell’incarico a Berisha. Lo scorso ottobre in calce ad una richiesta in questa direzione vennero raccolte le firme di 150 religiosi. Senza esito.
Gli Imam "dissidenti" proseguirono comunque nella loro azione eleggendo quello che doveva essere il successore di Berisha, Tadjedin Beslimi, che però non è mai entrato in carica. Berisha non ha mai infatti abbandonato la sua poltrona. Il Reis, dal canto suo, ha sempre mantenuto una posizione defilata e, di fatto, non ha mai ostacolato Berisha. Si è spesso estraniato dalla situazione adducendo motivi di salute (cosa che, secondo gli Imam, fa spesso quando la situazione si fa difficile) ed ha evitato i giornalisti. Il Reis, secondo molti, si comportava in quel modo temendo per la sua stessa vita.. Questa la cronaca sino all’aprile dello scorso anno.
Poi un’ulteriore svolta. In un articolo pubblicato sulla stampa locale nel settembre del 2004, i cui contenuti non sono mai stati confermati in via ufficiale, si affermava che uomini armati legati a Berisha avevano fatto irruzione negli uffici della Comunità Islamica ed avrebbero invitato Emini – minacciandolo con le armi – ad assumere stranieri vicini al mondo del fondamentalismo islamico.
Quest’ultima rimase una notizia relegata alle pagine interne dei media locali. Poi arrivò un’intervista con un esperto del Centro di sicurezza dell’intelligence strategica europea, con sede a Bruxelles, Claude Moniquet, che causò un vero e proprio shock nel Paese.
"Potrebbe essere l’inizio di qualcosa di molto pericoloso – affermò Moniquet, in un’intervista pubblicata da più quotidiani nazionali, che poi invitò il servizio di sicurezza macedone a porre attenzione su quanto avveniva, in particolare in una scuola islamica con sede a Kondovo, villaggio nei pressi di Skopje, finanziata anche da Paesi arabi.
"Ciò che affermano alcuni servizi di intelligence europei è che Berisha, come altre persone in Europa orientale ed occidentale, sta giocando il gioco dei sauditi, favorendo l’Islam fondamentalista nei Balcani" ha affermato Moniquet "questo naturalmente non significa che Berisha è un terrorista, o collegato a terroristi. Significa che prova, per interessi personali e religiosi, a promuovere l’Islam radicale in Macedonia".
Alla richiesta di commentare l’intervista Berisha ha definito il tutto "infondato" aggiungendo che "Claude sapeva meglio di tutti dove aveva preso quelle informazioni".
In risposta alle preoccupazioni solevate dall’intervista di Moniquet il Ministro degli interni macedone ha confermato vi fossero timori legati al radicarsi dell’Islam radicale in Macedonia ma ha rifiutato di aggiungere altro. "Stiamo monitorando tutte le attività relative alla pratica dell’Islam radicale nel Paese" ha affermato Goran Pavlovski, portavoce del Ministro, aggiungendo che per ora non potevano rilasciare dichiarazioni più specifiche.
Nei mesi successivi la divisione in seno alla Comunità islamica ha continuato ad approfondirsi ed al successore di Berisha, Tadjedin Beslimi, non è mai stata data di fatto la possibilità di entrare in carica, non avendo nei fatti, mai ricevuto mandato in questa direzione da parte del Reis. Gli Imam dissidenti, in più occasioni, hanno anche occupato gli uffici della Comunità islamica per mettere sotto pressione il Reis ed anche per fare in modo che Berisha non assumesse il pieno controllo della sede centrale.
A metà giugno erano in programma nuove elezioni per designare il nuovo mufti di Skopje, nelle strutture della scuola islamica di Kondovo, ma la fase del voto è stata interrotta da uomini armati che avrebbero sparato in aria, minacciato e picchiato Emini. Tutte queste informazioni sono però frutto di dichiarazioni frammentarie di fonti che hanno richiesto il completo anonimato.
Alcuni giorni dopo il Presidente dell’assemblea della Comunità islamica, Metin Izeti, si è dimesso affermando "l’impossibilità di adempiere al proprio incarico". Una settimana dopo di lui anche il Reis Emini si è dimesso adducendo problemi di salute. E quindi la Comunità islamica è rimasta senza guida.
Gli Imam che avevano intrapreso l’azione contro Berisha si sono organizzati in un gruppo che cerca di mantenere una presenza stabile negli uffici della Comunità, controllandola anche di notte.
"Cos’altro si può fare per evitare che il gruppo che ha interrotto le elezioni, o Berisha o il figlio occupino gli uffici?" si chiede Muarem Veseli, leader del gruppo ed una delle voci emergenti fin dall’inizio dei disordini.
Poi un altro fatto di cronaca. Il due luglio scorso lo stesso Veseli ed altri quattro Imam vengono bloccati da un gruppo armato mentre rientrano da un matrimonio e vengono pesantemente picchiati. Veseli subisce le conseguenze peggiori e viene ricoverato in ospedale.
"Ci urlavano se eravamo noi quelli che andavamo in TV ad attaccare l’Islam radicale ed intanto ci trascinavano fuori dall’auto e ci picchiavano" ha dichiarato una delle vittime dell’assalto.
"Le persone che ci hanno aggredito erano sicuramente rappresentanti dell’Islam radicale, o, come li chiamiamo noi, wahabiti. Sostenitori di Berisha che da più di un anno sta cercando di prendere il controllo della Comunità islamica" ha affermato un’altro degli Imam, Saban Ahmeti, in una dichiarazione per la stampa.
Nei giorni successivi è stato eletto come presidente ad interim della Comunità islamica Ruzdi Ljata, un Imam di Debar, con il compito di traghettare la comunità sino alle elezioni della nuova leadership, programmate per la fine di luglio. Ma solo dieci giorni dopo Ljata ha dato le dimissioni denunciando di aver ricevuto minacce di morte e di essere pedinato regolarmente da sconosciuti.
Tra gli sviluppi più recenti l’incontro tra Ali Ahmeti, leader del DUI, partito che in seno al governo macedone rappresenta la comunità albanese, e Fatos Nano, leader del partito socialista albanese, avvenuto a Korca, Albania, dove entrambi hanno espresso preoccupazione in merito alla diffusione, a Kondovo, di "Islamici radicali".
Dopo più di un anno di turbolenze lo scontro in seno alla Comunità islamica di Macedonia sembra tutt’altro che vicino a conclusione. Al contrario potrebbe essere possibile un’ulteriore escalation. Sino ad ora sia il governo che la comunità internazionale hanno solo osservato quanto stava avvenendo, ed in porte questo è dovuto alla tendenza della Comunità islamica di risolvere i propri problemi a porte chiuse ma anche perché sembrano non avere in mente quale potrebbe essere la loro posizione in uno scontro tutto interno ad una comunità religiosa.
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