Tipologia: Recensione

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Area: Balcani

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La gatta di Varsavia

Otto simpatici animali, arguti e irriverenti, ripercorrono l’esperienza del socialismo in Europa orientale. ‘La gatta di Varsavia’, di Slavenka Drakulić volge lo sguardo al passato, graffiando al tempo stesso su un presente che non mantiene le promesse della transizione. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

14/09/2010, Vittorio Filippi -

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E’ veramente tanto difficile e scivoloso affrontare il tema di quel socialismo reale che per diversi decenni gestì le società dei cosiddetti paesi dell’est. Nei giudizi vi entrano passioni, ideologie e valutazioni politiche che tolgono obiettività all’analisi, nonostante che dalla scomparsa di quel sistema siano ormai passati ben due decenni. Allora perché non far parlare dei simpatici animali, notoriamente più liberi e disinibiti di noi umani?

Il gioco letterario – un po’ alla Bulgakov – è di Slavenka Drakulić, sociologa controcorrente croata già nota in Italia. Con ironia amara – la stessa ironia usata in Come siamo sopravvissute al comunismo riuscendo perfino a ridere, una testimonianza su come le donne si sono arrangiate nella dura quotidianità dei paesi socialisti – la Drakulić fa parlare otto animali.

Il primo è un topo, non di biblioteca ma di museo; e che museo, dato che scorrazza per le sale del museo del comunismo di Praga: un museo che in realtà non mostra niente, perché non racconta la vera vita di nessuno. Eppure c’è anche la stanza dell’interrogatorio, la stanza del potere assoluto, di quel potere che ciascuno viveva nell’autocensura e nelle piccole complicità con il sistema.

Poi c’è un cane, uno dei trecentomila randagi che assediano Bucarest. Anche lui è una vittima dei disegni folli dei Ceausescu, che cacciarono dal centro della capitale migliaia di abitanti obbligandoli a liberarsi dei loro animali. Oggi nella Bucarest postcomunista si continua a buttar giù le vecchie villette per far posto a palazzi avveniristici e i cani sono i testimoni (muti ed irrilevanti) di questa trasformazione capitalisticamente avida.

Una gatta invece, nella Polonia della lustrazione, difende quel generale Jaruzelski che nell’81 proclamò la legge marziale rimanendo convinto di aver salvato il paese da una invasione sovietica. Ha senso oggi processarlo? Per dirla con le parole di Adam Michnik, dissidente incarcerato dallo stesso Jaruzelski, questa “E’ materia per gli storici, gli scrittori, i preti, i moralisti e i confessori, non per le aule di tribunale”. Berlino ed il suo Muro non poteva invece avere commentatrice migliore di una talpa, dato che – sotto quel famigerato anello di 140 chilometri – le gallerie erano davvero tante. Oggi il Muro, quel Muro, non c’è più, anzi c’è il mercato globale, che appiattisce tutto e sembra rendere inutili le talpe. Anzi no, servono ancora: nel mondo nuovi muri si levano, nei deserti del Medio Oriente come in quelli tra Messico e Stati Uniti, e nuove gallerie si profilano.

Koki è invece un pappagallo di lusso, dato che viveva in una splendida isola dell’arcipelago delle Brioni addirittura con il Maresciallo Tito. Lui sì che era un uomo di gran classe, non come il suo sgraziato successore, ex comunista convertitosi al nazionalismo. Il ricordo di Tito aleggia ancora: proprio come lui, la gente visse al di sopra delle proprie possibilità godendo di briciole di libertà che resero la Jugoslavia un paese socialista diverso dagli altri.

Il “compagno Corvo” è invece un uccello che, appollaiato su di un albero nell’Albania paranoicamente chiusa ad ogni contatto esterno, assiste ad un “suicidio” politico che rimanda a lotte di potere ad altissimo livello: d’altronde sapere era una maledizione, una fonte di sospetti, figurarsi ciò a cui aveva assistito l’uccello.

Una maialina ungherese amante della cucina è testimone del cosiddetto “gulasch-comunismo”, iniziato nel 1968 da Janos Kadar mescolando economia pianificata ed economia di mercato e che evitò i gulag e rese la vita migliore. D’altronde l’elemento imprescindibile di ogni gulasch è proprio la tolleranza, anche nel comunismo.

Infine un orso, l’orso danzante Tosho allevato dagli zingari nella sonnolenta Bulgaria socialista. Oggi, paradossalmente, gli orsi sono tutelati in splendidi parchi naturali, ma sono gli zingari a doversi difendere, a dover proteggere la loro identità, un po’come gli orsi selvatici nei periodi di caccia aperta.

Questi saggi animali colgono otto paesi in transizione: verso la democrazia, il mercato, la libertà, l’Europa. Le aspettative, venti anni fa, furono elevatissime: oggi questi quattro obiettivi rischiano di apparire concetti lisi, inflazionati, svuotati, liturgici. La crisi economica e l’emergere di partiti e movimenti nazionalisti, xenofobi ed estremisti soffiano sullo smarrimento di tanti mentre la stessa idea di Europa si appanna (L’Europa è finita?, si chiedono infatti nel loro ultimo libro Enrico Letta e Lucio Caracciolo). La Drakulić giustamente graffia su di un presente che delude e non mantiene. E non a caso fa precedere il suo testo da un pensiero di George Orwell: “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”.

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