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La foresta incantata di Isidora Sekulić

La scrittrice serba Isidora Sekulić (1877-1958) è pressoché sconosciuta in Europa. Oltre alla sua particolare opera letteraria, in Serbia e nell’intera regione, non è mai stato dimenticato il suo contributo alla lotta per i diritti delle donne nel periodo tra le due guerre mondiali

08/03/2022, Božidar Stanišić -

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Chi è Isidora Sekulić? I suoi romanzi, racconti, libri di viaggio e saggi sono completamente sconosciuti ai lettori europei. Non cercate invano il suo nome nei libri sui movimenti europei per i diritti delle donne. Nella logica dell’eurocentrismo semplicemente non vi è spazio per le figure di spessore europeo, come Isidora Sekulić, che hanno lasciato una traccia importante nelle culture periferiche del Vecchio continente.

(È inutile lamentarsi! Mi chiedo piuttosto come racchiudere una biografia così complessa come quella di Isidora Sekulić entro i limiti ristretti dei paragrafi di un articolo commemorativo? Mi sembra una sfida paragonabile a quella di far passare una rondine attraverso una di quelle cannucce utilizzate per bere la limonata!)

Isidora Sekulić nacque nel 1877 nel villaggio di Mošorin, nella Bačka. Nel 1883 la famiglia si trasferì a Zemun dove il padre di Isidora, Danilo, un uomo di larghe vedute culturali, ottenne l’incarico di comandante del porto. Oltre al regolare percorso di studi, il padre di Isidora si adoperò per consentirle di frequentare lezioni individuali di latino e greco. Già allora Isidora si sentiva perfettamente a suo agio in compagnia dei libri, quegli “amici freddi, ma sicuri“, come li definì uno scrittore.

In un’occasione, ricordando quel periodo, Isidora affermò: “Nelle biblioteche mi sentivo come se fossi in una foresta incantata. Il libro era il luogo del mio riposo, il mio rifugio e il mio viaggio. Trascorrevo intere giornate seduta da sola in un angolo a sfogliare avanti e indietro le pagine variopinte e limpide dei dizionari e dei libri di scienze naturali. In questi libri potevo vedere come brillava l’aurora boreale, vi si parlava anche di quelle strane piante tropicali caratterizzate da un’anatomia simile a quella degli animali selvatici, si sentiva il mormorio del mare attraversato da enormi galee manovrate da rematori provenienti dall’Assiria…”.

Isidora si diplomò all’Istituto superiore femminile a Novi Sad, e poi alla Preparandija [istituto per la formazione degli insegnanti] a Sombor. A Budapest frequentò il Liceo pedagogico, studiando lingue e matematica. Conseguì un dottorato di ricerca in filosofia presso l’Università di Berlino. Non c’è un solo testo dedicato a Isidora Sekulić in cui non venga sottolineato il fatto che parlava sette lingue. Aveva una conoscenza approfondita della letteratura, dell’arte e della cultura inglese, francese, tedesca e scandinava. Nel 1897 ottenne l’incarico di insegnante presso la scuola superiore femminile serba a Pančevo e ben presto ne divenne direttrice. Nel 1899 si trasferì in Serbia, trovando lavoro come insegnante presso una scuola per ragazze a Šabac.

Nel 1907 Isidora iniziò a collaborare con la rivista Domaćica, pubblicata dall’Associazione femminile di Belgrado, scrivendo testi letterari con cui riusciva a incidere notevolmente sul modo di pensare dei suoi lettori, uomini o donne che fossero. Da giovane intraprese molti viaggi in giro per l’Europa, sempre adeguatamente preparata per l’incontro con nuovi paesi e culture. A tal proposito, cito un aneddoto. Durante un viaggio in Italia, Isidora si rese conto che, dopo due anni di studio della cultura e l’arte italiana, conosceva la materia meglio dei curatori museali.

La prima opera letteraria di Isidora, una prosa poetico meditativa intitolata “Saputnici” [Compagni di viaggio] fu pubblicata a Belgrado nel 1913, mentre l’autrice si trovava in Norvegia (Jovan Skerlić, all’epoca assurto a massima autorità letteraria serba, criticò l’opera d’esordio di Isidora, pubblicata nel bel mezzo delle guerre balcaniche, a causa della mancanza di temi nazionalisti e patriottici). In Norvegia, dove le sue capacità letterarie e intellettive emersero nella loro pienezza, Isidora conobbe suo futuro marito, il dottor Emil Stremicki, di origine polacca. Pisma iz Norveške [Lettere dalla Norvegia] – forse il libro di viaggio più insolito mai scritto su questo paese scandinavo (in cui l’autrice racconta anche se stessa) – uscirono a Belgrado nel 1914. “Grazie” alla Grande guerra, le Lettere dalla Norvegia [1] passarono inosservate fino a quando, quasi un quarto di secolo dopo, non venne pubblicata la seconda edizione.

Il marito di Isidora morì improvvisamente dopo la guerra, durante un viaggio in treno da Oslo a Berlino. Isidora aveva già perso il fratello e il padre una ventina di anni prima. Trascorse il resto della sua vita in solitudine scrivendo, leggendo e traducendo. Accettò la solitudine come una sorte predestinata e non si lamentò mai del proprio destino, non volendo nemmeno accettare compensi per il suo lavoro letterario. Apprezzava gli autori che scrivevano bene, quindi non fu un caso che appoggiasse il giovane Andrić, scrivendo recensioni positive delle sue prime opere (successivamente criticherà Andrić per la sua costruzione dei personaggi femminili, così come criticherà anche Thomas Mann).

Isidora rimase a Belgrado, dove insegnava al Terzo ginnasio femminile fino al 1931, quando andò in pensione. Otto anni più tardi, Isidora divenne la prima donna serba e jugoslava ad essere ammessa all’Accademia delle scienze e delle arti, prima come membro corrispondente, e poi nel 1950 come membro permanente, fatto che, come atteso, suscitò le proteste di alcuni accademici. Potremmo sintetizzare la loro insoddisfazione nella domanda: “Far entrare una donna nel tempio della saggezza?”. La saggezza degli uomini, ovviamente!

A Isidora non interessava né la fama né la ricchezza. In una lettera indirizzata ad un amico scrisse: “Sono una persona modesta, grigia, non sono migliore degli altri. Non mi piacciono le medaglie né la testa del corteo. Quindi, l’Accademia mi ha fatto sentire molto confusa”.

Isidora Sekulić

Durante l’occupazione nazista, Isidora Sekulić, da antifascista convinta, si rifiutò di sottoscrivere il Proclama del governo collaborazionista rivolto agli intellettuali serbi. Quel “patto col diavolo”, come lo definì Isidora, fu firmato da molti intellettuali belgradesi. Subito dopo la liberazione, Isidora si unì al Fronte antifascista delle donne jugoslave (AFŽ), per poi essere eletta membro del comitato centrale del Fronte antifascista serbo, proseguendo così il suo impegno per l’emancipazione e i diritti delle donne.

Un impegno iniziato con i suoi scritti letterari pubblicati prima della Grande guerra, per poi evolvere nel primo dopoguerra con la sua decisione di unirsi all’Associazione per l’emancipazione femminile e per la tutela dei diritti delle donne, un’associazione indipendente da qualsiasi partito politico. Isidora partecipò anche alle attività del Consiglio popolare delle donne della Serbia e del Consiglio popolare delle donne del Regno dei serbi, croati e sloveni. Al Secondo congresso del Consiglio popolare delle donne del Regno SHS, Isidora riferì i risultati dei lavori del Consiglio internazionale delle donne tenutosi a Oslo, a cui prese parte insieme ad alcune colleghe di Zagabria e Lubiana. Le attiviste provenienti dalle regioni facenti parte del Regno dei serbi, croati e sloveni cercarono di spiegare alle donne di tutto il paese che erano accomunate dagli stessi problemi: i diritti politici negati alle donne e il predominio di questioni politiche su quelle sociali, e quindi anche su quelle riguardanti le donne.

Dopo un lungo e appassionato impegno per i diritti delle donne, Isidora decise di ritirarsi da tutte le associazioni femminili, insoddisfatta della riluttanza di molte attiviste a intraprendere azioni concrete. Inoltre, odiava i pettegolezzi, considerandoli un deplorevole metodo di diffusione delle bugie. Così si spiegano le sue parole sarcastiche: “La curiosità richiede un’energia immensa. Quindi, bisognerebbe che le donne si occupassero di scienza. Così in breve tempo scopriremo se c’è vita su Marte, ma anche chi sta divorziando”.

Da un’intervista rilasciata allo scrittore Miloš Crnjanski emerge chiaramente che Isidora amava la libertà, ma non le piaceva il femminismo. Lo conferma una sua affermazione: “L’impegno femminista mirava innanzitutto a cancellare la casa, la tirannia della casa e della famiglia, eppure io credo che, come ogni donna, potrei essere felice solo all’interno di una famiglia”.

Poco prima di morire, conversando con Grozdana Olujić, Isidora affermò: “Sono stata cresciuta da un uomo, mio padre. Questo ha influito sul mio carattere e sulla mia produzione letteraria. Non mi piacciono le conversazioni vuote. Chi non ha nulla da dire, è meglio che taccia”.

Uno dei libri della mia libreria personale su cui credo non si sia mai accumulata la polvere sono Lettere dalla Norvegia di Isidora Sekulić. Un libro di viaggio unico nel suo genere. Ogni volta che riprendo in mano queste Lettere, rifletto sulla necessità di leggere solo ed esclusivamente le opere degli scrittori per i quali la parola è misura del pensiero e il pensiero è misura della parola. Isidora confermò la sua peculiarità anche nel suo libro più noto Kronika palanačkog groblja [La cronaca di un cimitero del villaggio], un romanzo ancora oggi moderno nella sua forma, profondo nella tendenza dell’autrice a penetrare nella psiche dei personaggi ispirati alle vicende reali di alcune persone sepolte nel cimitero di Zemun, dove sono sepolti anche il padre di Isidora, Danilo, e suo fratello Dimitrije. Isidora è anche autrice di uno dei libri più profondi su Njegoš, intitolato Njegošu knjiga duboke odanosti [Un libro per Njegoš, con profonda dedizione].

La modesta casa piano terra, in cui Isidora trascorse gli ultimi vent’anni della sua vita, si trova nel quartiere di Topčidersko brdo a Belgrado. Ogni giovedì Isidora vi ospitava amici e ammiratori. La scrittrice donò tutti i suoi beni alla Biblioteca universitaria “Svetozar Marković”. Tutti, dai suoi occhiali tondi alla sua lente di ingrandimento per lettura e alla sua macchina da scrivere, passando per la sua ricca biblioteca e una piccola collezione di quadri. Quella lontana primavera del 1958 Isidora fu sepolta, per sua esplicita volontà, in una semplicissima bara di legno, avvolta in un lenzuolo.

In Serbia molte strade e scuole sono intitolate a Isidora Sekulić. Nel 1968 fu istituito un premio letterario in suo onore, conferito dalla municipalità di Savski Venac. I suoi libri continuano ad essere ristampati, come se si trattasse di una scrittrice contemporanea.

Infine, aggiungo che Isidora amava il suo popolo, ma fu un amore impregnato di critiche. Credo che se, accanto alle sue Lettere dalla Norvegia, anche i suoi Scritti sul mio popolo dovessero essere inclusi nell’elenco delle letture scolastiche obbligatorie (in Serbia, ma non solo), il numero dei giovani capaci di sviluppare una riflessione critica sul “proprio popolo” crescerebbe notevolmente. Isidora considerava il nazionalismo un grande male e una deviazione dalle norme di civiltà.

Alcuni frammenti tratti dalle Lettere dalla Norvegia

L’intera vita della Norvegia, il suo intero carattere, tutta la sua sfortuna poggia sulla pietra. Tutta la sua bellezza risiede nelle acque. La sua immaginazione si trova nelle foreste. Lungo la frastagliata e fiorente costa occidentale si susseguono i fiordi, maestosamente belli e spaventosamente silenziosi, con le loro valli, e i borghi disseminati qua e là, impregnati della vita frenetica dei marinai e dei rumori variopinti provenienti dai porti. E nell’entroterra, la terra, come anche la gente, è schiacciata sotto il peso dei vasti prati innevati, delle montagne (fjeld) e delle cavi di pietra, e i borghi sorgono, faticosamente e irregolarmente, sulle colline disordinatamente stratificate o a forma conica tondeggiante, spesso lisce come il vetro, e sui blocchi di roccia che spuntano dal suolo ad ogni passo, ma risultano così difficili da abbattere al suolo”.

Il poeta inglese Shelley scrisse che il sonno e la morte sono figli della notte buia. A nord, quando arrivano i giorni che durano mesi, o le notti polari, allora sia il sonno che la morte avvengono sotto la luce, eccome. È un’esperienza tormentosa. La luce polare non solo illumina l’uomo, lo guarda e percepisce come se fosse un occhio soprannaturale. L’uomo reagisce perdendosi in uno sguardo appassionato, e continua a guardare. Gli occhi vivono una vita separata dal resto dell’uomo, ed è un’esperienza profondamente angosciante. L’uomo prova ammirazione, paura e tormento. Quegli splendidi colori del cielo sono illusioni eteree o fenomeni veramente – noi, esseri umani, amiamo e apprezziamo incredibilmente la parola “veramente” – oggettivi? Un piccolo uomo, soprattutto un uomo proveniente dal sud, che non capisce quella luce polare, sotto di essa e di fronte ad essa avverte una sensazione di sfavillante e futile solennità. Cosa sarà? Forse sta per iniziare la creazione di un nuovo mondo. Forse noi, esseri umani, stiamo subendo una trasformazione…”.

L’uomo è nomade nella sua anima, nei suoi pensieri, nei suoi ideali. È nomade per volontà di Dio, che lo inserì tra immensi spazi celesti e terrestri. L’antica passione, mai sopita, per il volo, per i viaggi fuori dalle rotte prestabilite, senza fermate né confini, è un’espressione irruente del nomadismo intrinseco alla natura umana. La volontà di Dio: sono sentieri e fiumi, viaggi e incontri, un susseguirsi di vite e amici, e non stati e confini, pali e baionette, villaggi-prigioni in cui un uomo libero viene soffocato, come se fosse un topo, da padroni, vicini di casa, costumi, critiche. Tristano non riusciva a morire essendo stato sopraffatto da una moltitudine di desideri. L’urlo di quel poeta che scrisse: “Ascetismo o viaggi, perché non esiste nient’altro!” appartiene ad ogni uomo.

[1] A 95 anni dalla prima pubblicazione, questa opera è stata finalmente tradotta in norvegese grazie all’impegno della dottoressa Zorica Mitić, belgradese di nascita, che dal 2000 vive a Oslo dove lavora come medico specialista in anestesia e psicofisiologia. (Isidora Sekulić, Brev fra Norge. Oversatt av Zorica Mitic og Jostein Sand Nilsen. Oslo: Kolon forlag, 2009.)

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