La doppia anima del Sarajevo Film Festival
Dal 10 al 17 agosto il Sarajevo Film Festival mette in scena la sua 24sima edizione. Il consueto appuntamento che dà lustro alla capitale bosniaca e porta in sala il meglio del cinema del sud est Europa
Una panoramica dei film dell’Europa del sud-est prodotti negli ultimi mesi e un laboratorio e un’incubatrice per quelli dei prossimi anni. Il Sarajevo Film Festival, che dal 10 al 17 agosto mette in scena la sua 24° edizione, mantiene e alimenta la sua doppia anima. La capitale bosniaca diventa a metà estate il punto di riferimento per chi, in Europa e non solo, ha un progetto da proporre, sviluppare o terminare, con gli eventi legati a Cinelink o Talent Campus. Inoltre la manifestazione, come ha confermato uno studio condotto da Olsberg Spi sull’edizione scorsa, genera un indotto economico significativo sulla città e l’intera Bosnia Erzegovina, oltre a migliorare la percezione del Paese all’estero, creare un senso di “orgoglio e appartenenza” tra i cittadini e far crescere il pubblico e la cultura cinematografica locale.
Per l’inaugurazione venerdì sera, nell’Open Air tra le case del centro cittadino, è stato scelto “Cold War” del polacco Pawel Pawlikowski, premio per la regia a Cannes e già conosciuto per “Ida”, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero. Sempre all’aperto sarà proiettato “Dogman” di Matteo Garrone con Marcello Fonte migliore attore a Cannes, poi il libanese “Capernaum” di Nadine Labaki, “Le grand bain” di Gilles Lellouche, “El angel” dell’argentino Luis Ortega, “Il tuo ex non muore mai” di Susanna Fogel con Mila Kunis e “Wildlife” di Paul Dano con Carey Mulligan.
Lungometraggi
Il concorso lungometraggi, che assegnerà l’Heart of Sarajevo, comprende 10 titoli, tra i cui quattro in prima mondiale. Presidente della giuria è il regista iraniano Asghar Farhadi (sarà anche proiettato il suo “Everybody Knows” con Penelope Cruz e Javier Bardem), con lui l’attrice croata Judita Franković Brdar, Mike Goodridge direttore del festival di Macao, la fotografa francese Brigitte Lacombe e la regista georgiana Ana Urushadze.
Ben tre i romeni in gara, “Love 1: Dogs – Dragoste 1: caine” di Florin Șerban, “One And An Half Prince – Un prinț și jumătate” di Ana Lungu e “Lemonade” di Ioana Uricaru, mentre i croati sono due, “All Alone – Sam samcat” di Bobo Jelčić e “Mali” di Antonio Nuić. Completano la selezione il bel “Aga” del bulgaro Milko Lazarov e “Horizon – Horizonti” della georgiana Tinatin Kajrishvili, già alla Berlinale, il teso “The Load – Teret” del serbo Ognjen Glavonić e “One Day – Egy nap” dell’ungherese Zsófia Szilágyi, già passati a Cannes, e il turco “The Pigeon Thieves – Güvercin hirsizlari” di Osman Doğan.
In Focus offre una panoramica della produzione del sud-est Europa mettendo insieme grandi nomi e titoli curiosi. Spiccano l’Orso d’oro di Berlino, il discusso “Touch Me Not” della romena Adina Pintilie (in uscita in Italia il 13 settembre), e “Wild Pear Tree – Ahlat ağaci” del turco Nuri Bilge Ceylan. Il regista di Istanbul, vincitore della Palma d’oro a Cannes per “Il regno d’inverno – Winter Sleep”, sarà ospite d’onore della manifestazione e gli sarà dedicata una retrospettiva completa, partendo dal cortometraggio “Cocoon” selezionato a Cannes nel 1995 e i primi lungometraggi “Kasaba” e “Nuvole di maggio” fino ai più recenti come “C’era una volta in Anatolia”.
Da tenere in grande considerazione “Infinite Football – Fotball infinit” del romeno Corneliu Porumboiu, “Mademoiselle Paradis” dell’austriaca Barbara Albert e “Never Leave Me – Birakma beni” della bosniaca Aida Begić (“Buon anno, Sarajevo”), in coproduzione con la Turchia. Curiosa l’animazione ungherese “Ruben Brandt, Collector – Ruben Brandt, a gyűjtő” di Milorad Krstić, una sorta di viaggio nella storia della pittura che poche sere prima sarà anche nella suggestiva in Piazza Grande del Locarno Festival. Infine il kosovaro “The Marriage – Martesa” di Blerta Zeqiri e la coproduzione Cipro, Germania, Grecia “Smuggling Hendrix” di Marios Piperides.
Documentari
Sono 16 le opere del concorso documentari, che ha sempre parecchio seguito, con molti debutti, un numero importante di donne registe e prime internazionali. Ben tre i lavori croati “Ikea For Yu” di Marija Ratković Vidaković, Dinka Radonić, “Srbenka” di Nebojša Slijepčević e “90 Seconds In North Korea / 90 sekundi u sjevernoj Koreji” di Ranko Pauković. Tre anche gli ungheresi: “Ghetto Balboa” di Arpad Bogdan, “Nine Month War” di László Csuja e “Easy Lessons – Könnyű leckék” di Dorrotya Zurbó. Due i documentari serbi, “Occupied Cinema – Okupirani bioskop” di Senka Domanović e “4 Years In 10 Minutes – 4 godine u 10 minuta” di Mladen Kovačević.
Completano la competizione: il bulgaro “Kalin And The Jail Team” di Petko Gyulchev; il bosniaco “Sestre – Sisters” di Zdenko Jurilj; “Tam 4500” del montenegrino Momir Matović; lo sloveno “Fundaments – Fundamenti” di Peter Cerovšek; “Bigger Than Life” di Adnan Softić, coproduzione Macedonia, Germania e Italia; “Cry Baby, Cry” dell’austriaco Antonin Svoboda; “Araf” della turca Didem Pekün; “Before Father Gets Back” della georgiana Mari Gulbiani.
Interessante la nuova sezione Dealing With The Past con lo svizzero “Chris The Swiss” di Anja Kofmel che indaga sulla morte del cugino nella guerra in Croazia, “Druga strana svega – The Other Side of Everything” di Mila Turajlić (la belgradese nota per “Cinema Komunisto”) e il romeno “I Don’t Care If We Go Down In History Like Barbarians” di Radu Jude ambientato nel 1941.
Curioso il collettivo “Occupation 1968” di Evdokia Moskovina, Linda Dombrovszky, Magdalena Szymkow, Marie Elisa Scheidt, Stephan Komandarev, ovvero l’occupazione vista dagli occupanti. Registi di ciascuno dei Paesi che nel 1968 occuparono la Cecoslovacchia ricordano e raccontano i fatti di 50 anni fa dal loro punto di vista. Per la consueta Giornata dei diritti umani sarà presentato il ceco “When The War Comes” di Jan Gebert.
Come sempre SFF è l’occasione per portare in Bosnia una selezione del meglio in Kinoscope, spicca la Palma d’oro “Shoplifters” di Kore-Eda Hirokazu, sempre premiati a Cannes ci sono “Border” dell’iraniano Ali Abbasi, il belga “Girl” di Lukas Dhont e l’islandese “Woman At War” diBenedikt Erlingsson, cui si aggiungono il grottesco franco-belga “Laissez bronzer les cadavres” e il brasiliano “As boas maneiras”. L’altro spazio all’eperto, la Summer Arena, è dedicata alla musica e all’arte con “Whitney”, “Grace Jones”, “The Man Who Stole Banksy”.
Tra i film proposti grazie ai festival partner sono da segnalare il marocchino “Sofia”, coinvolgente storia di emancipazione di un’adolescente, e l’impressionante siriano “Of Fathers And Sons” di Talal Derki, viaggio nel Califfato per osservare come i bambini vengano educati alla violenze e alla guerra, plagiati e fatti crescere troppo in fretta.
Infine il BH Film Program, che raduna per il 13° anno la produzione e le coproduzioni bosniache dell’anno. Interessante è “Kaotični život Nade Kadić – The Chaotic Life of Nada Kadić” di Marta Hernaiz, viaggio scombinato che parte da Sarajevo di una madre inaffidabile (va anche in giro con due scarpe diverse) con la figlia ammalata.
Parecchio pretenzioso è “Drvo – The Tree” di André Gil Mata, che ha visto e studiato Bela Tarr e Andrei Tarkovski e lo fa vedere fin troppo, confermando che non basta avere una precisa idea di cinema per saperla usare. Il nulla, un vecchio e un bambino che camminano lentamente nella neve, da mettere dentro la confezione, con l’ennesima riproposizione che la storia si ripete, soprattutto nei Balcani.
Tra le coproduzioni “A Good Day’s Work” e “The Miner” rispettivamente degli sloveni Martin Turk e Hanna Slak e il documentario tedesco “A Sarajevo Jewish Story” di Jonna Rock.
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