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La Croazia e la sindrome greca

La Croazia tenta di "soffiare" un po’ di turisti alla Grecia. Ma con la Grecia, oltre ai lunghi tratti di costa, ha in comune anche un preoccupante debito pubblico. La premier Kosor corre ai ripari con misure draconiane, che però, per molti analisti, non faranno che affossare maggiormente l’economia

01/06/2010, Drago Hedl -

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In Croazia albergatori, ristoratori, locatori degli appartamenti sulla costa adriatica, ed anche il ministro per il Turismo Damir Bajs, sperano che la crisi greca porti qui parte dei turisti che solitamente erano intenzionati a trascorrere le vacanze sull’Egeo. Per questo le principali città della Serbia, così come le altre grandi città del Paese – i cui abitanti tradizionalmente scelgono la Grecia come meta di villeggiatura – sono state tappezzate di cartelloni pubblicitari dell’ultimo minuto che invitano la popolazione serba a trascorrere le proprie vacanze sulle coste croate dell’Adriatico.

Per quanto, però, i fatti recenti avvenuti sulle strade di Atene possano favorire il turismo croato, il governo di Zagabria teme che scene simili possano accadere anche in Croazia. Il recente scontro violento allo stadio di Zagabria tra i tifosi del Dinamo e la polizia è stato considerato dagli analisti una ”prova generale” per le forze dell’ordine in vista di ciò che potrebbe accadere in autunno: stavolta non con i tifosi, ma uno scontro con i lavoratori e i militari disoccupati, che aumentano ogni giorno di più.

La scorsa settimana la premier croata Jadranka Kosor si è recata oltreoceano per incontrare il sottosegretario americano Joe Biden e ottenere un appoggio per l’entrata della Croazia nell’Unione europea, oltre che un sostegno per le riforme che intende attuare. Proprio negli Stati Uniti la Kosor si è vantata del suo programma di risanamento economico, definendolo “con ogni probabilità il processo di riforme più radicale dall’indipendenza della Croazia ad oggi”.

In effetti tutte le azioni da lei citate, insieme a quelle intraprese da quando ha assunto la guida del governo, dopo le dimissioni di Ivo Sanader, il primo luglio 2009, si possono realmente definire radicali. Ha diminuito gli stipendi dei dipendenti pubblici e le pensioni privilegiate, ha introdotto la riforma delle imposte, ha abolito i diversi premi salariali come quelli per le ferie annuali e per le festività natalizie, ha aumentato l’imposta sul valore aggiunto ed ha introdotto la tassa di crisi per tutti coloro il cui reddito mensile è maggiore di 3.500 kune (480 euro).

La premier Kosor ha parlato anche di emendamenti della Legge sul lavoro, con cui sarebbe più facile sciogliere i contratti collettivi. Ciò implicherebbe ulteriori diminuzioni dei diritti dei lavoratori, e con questa mossa la premier ha aperto un fronte con i sindacati. Questi infatti hanno reagito con la loro uscita dal Consiglio socio-economico, organo composto da membri del governo, datori di lavoro e sindacati, deputato a risolvere questioni sociali ed economiche e a dare opinioni sulla relativa legislazione prima che entri nell’iter parlamentare. I sindacati hanno anche minacciato lo sciopero generale.

“La goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ci ha spinti a questo passo è stata la proposta della nuova legge sul lavoro, presentata nonostante la posizione contraria dei sindacati”, dichiara Krešimir Sever, presidente dei Sindacati indipendenti croati, che insieme ad altri cinque grandi organizzazioni sindacali ha deciso di uscire dal Consiglio socio-economico.

Gli esperti sono dubbiosi sul risultato di tutte le misure proposte dalla premier, già soprannominata “lady di ferro”, su modello dell’ex primo ministro britannico Margaret Thatcher. Il noto esperto economico Dražen Kalodjera definisce “pura cosmesi” le misure del governo per salvare l’economia, affermando che “queste misure non sono in grado di smuovere l’attività economica, e ciò rappresenta la tragedia più grande”.

Vladimir Gligorov, analista economico dell’Istituto di relazioni internazionali di Vienna, afferma metaforicamente che le riforme introdotte dalla premier Jadranka Kosor volte a far uscire la Croazia dalla profonda crisi economica “ricordano Amleto senza titolo di principe di Danimarca”. Nell’intervista al giornale zagabrese Jutarnji List, Gligorov ha affermato che con queste misure non si stimola in alcun modo l’esportazione.

“Questa è la più grave mancanza del suo programma. La concorrenza e l’aumento delle esportazioni non vengono affatto prese in considerazione”, dichiara il noto economista, e afferma che non può esserci aumento dell’export senza investimenti stranieri, che invece si possono aspettare solo se la Croazia potenzia la sua capacità concorrenziale nell’attrarre capitali rispetto ai paesi con cui si può confrontare.

In generale gli analisti sono d’accordo nel sostenere che la Croazia non si trova nella situazione in cui versa la Grecia, ma mettono seriamente in allerta su due questioni tra loro correlate. Il debito estero croato alla fine dello scorso anno ammontava a 44,6 milioni di euro, gravando sul Pil al 98,5%. Ancor più problematico è il fatto che la Croazia paga i propri debiti con ulteriori e continui indebitamenti, così che in un solo anno il suo debito è aumentato dell’11,6% rispetto alla fine del 2008. È chiaro a tutti che questo pallone non può essere gonfiato all’infinito.

La premier Jadranka Kosor ha forse ragione quando dice che le misure che ha introdotto sono le “più radicali” nei 20 anni di indipendenza croata, ciononostante ci si chiede quanto siano attuabili. Innanzitutto per la pesante caduta degli standard di vita dei cittadini, che con le misure annunciate peggioreranno. I malumori sociali, forse non così drastici come si è visto in Grecia, potrebbero replicarsi anche per le strade delle città croate. La radio tedesca Deutsche Welle, in un recente rapporto da Zagabria, intravvede questa possibilità proprio nelle dichiarazioni dei sindacati di rompere il dialogo sociale con il governo, cosa che secondo la radio tedesca potrebbe dare il via a grandi agitazioni sociali.

Se da un lato il governo di Jadranka Kosor attende fiducioso il caldo estivo, sperando che possa favorire una buona stagione turistica, dall’altro teme quello autunnale, con le agitazioni di piazza dei lavoratori.

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