La Croazia e i serbi di Osijek
Mentre alla Corte di Strasburgo si dibatte il caso di Krstina Blecic, cittadina montenegrina di Zara privata della propria abitazione durante la guerra, la giustizia croata affronta il caso delle decine di famiglie serbe espulse dalle proprie case a Osijek. Un test per le aspirazioni europee della Croazia
A Osijek, quarta città della Croazia, i serbi locali sono stati sistematicamente espulsi dalle proprie case nel corso di due anni di guerra, il 1991 e il 1992, per fare posto ai croati. Il Centro per la Pace e la Nonviolenza, organizzazione non governativa di Osijek, che da anni raccoglie documentazione su questi fatti, ha ora presentato una denuncia penale contro Peter Kljaic, a lungo presidente del Tribunale distrettuale di Osijek, e ora giudice in quella stessa Corte, considerandolo il principale responsabile per quanto avvenuto a oltre dieci famiglie, private in modo brutale del proprio diritto all’abitazione e letteralmente buttate in strada.
Durante la guerra, Kljajic, per il fatto di essere il presidente del Tribunale, presiedeva anche la Commissione Militare per gli Alloggi, che organizzava l’espulsione della gente dalle case, firmando le ordinanze che attribuivano gli alloggi svuotati agli immigranti Croati. Questa Commissione aveva anche una propria unità militare speciale, i cui uomini armati cacciavano le persone dagli appartamenti minacciandoli di morte. Arrivavano in gruppi di tre o sei persone e davano agli inquilini 24 ore di tempo per raccogliere gli effetti personali. L’atteggiamento dei militari era spietato. Avvertivano gli inquilini di non chiedere aiuto a nessuno minacciandoli che, se l’avessero fatto, li avrebbero uccisi. Se qualcuno di quelli che venivano cacciati dagli appartamenti avesse comunque chiamato la polizia, questa per lo più non interveniva. Nei rari casi in cui i poliziotti rispondevano alla chiamata, dichiaravano di non avere competenza su tali questioni.
Il Centro per la Pace e la Nonviolenza ha documentato 36 casi di questo tipo, ma si tratta solamente della punta di un iceberg, dal momento che si stima che a Osijek abbiano perso il diritto all’abitazione in questo modo circa un centinaio di famiglie serbe. «E’ chiaro che non si trattava di incidenti isolati, di un periodo di anarchia in cui ognuno si faceva giustizia da sé. Si trattava di un preciso metodo di espulsione delle persone su base etnica, cioé del crimine di guerra consistente nella espulsione forzata», ha dichiarato a Osservatorio sui Balcani Katarina Kruhonja, portavoce del Centro per la Pace e la Nonviolenza di Osijek.
La Procura Generale dello Stato a Zagabria ha accolto l’istanza del Centro per la Pace e la Nonviolenza affinché l’indagine non venga condotta dalla Procura di Osijek. Il dossier è già stato affidato alla Procura di Cakovac, città nel nord ovest del Paese. Kljajic, contro il quale è stata sollevata l’accusa, che ancora ricopre la funzione di giudice a Osijek, è stato escluso dalla conduzione delle indagini localmente per il rischio di parzialità. L’inchiesta è iniziata. In questi giorni a Osijek la polizia e la Procura si stanno già occupando considerevolmente di crimini di guerra. Oltre alle indagini sulle espulsioni dei serbi dalle proprie case, è in corso anche l’inchiesta sulle uccisioni durante la guerra di circa 60 civili, per la maggior parte serbi della città, per le quali è accusato Branimir Glavas, signore di Osijek durante la guerra, e in seguito a lungo governatore e membro del parlamento croato.
«Fino a quando ci sarà un croato senza casa, nessun serbo a Osijek potrà tenere il proprio appartamento» – era questo il motto di Kljajic. «In quegli anni di guerra, quando lo avvisavamo che non poteva privare in quel modo la gente del proprio diritto all’abitazione, ci rispondeva: ‘Ho l’obbligo morale di assicurare una casa ad ogni combattente croato, alle vedove dei soldati croati e alle famiglie sfollate’. Il suo metodo consisteva nel cacciare dagli appartamenti civili che non erano colpevoli di nulla nè debitori, facendo entrare nelle loro case i croati», ricorda ancora Katarina Kruhonja, portavoce del Centro per la Pace e la Nonviolenza. «Purtroppo, molte delle persone che in quegli anni sono stati cacciati dalle proprie case sono poi morti, oppure sono fuggiti da propri parenti in Serbia e non sono mai più tornati. Noi abbiamo però documentazione relativa a 36 famiglie che sono ancora qui e che testimonieranno in Tribunale quello che gli è capitato», ci ha dichiarato la Kruhonja.
Slobodanka Jankovic, di 62 anni, è una delle persone che nel 1992 è stata letteralmente buttata in strada dopo essere stata costretta a lasciare l’appartamento nel quale aveva vissuto dal 1969 alla fine di settembre del ’92. Dopo alcuni giorni di provocazioni, le si presentarono alla porta sei uomini armati. Le hanno intimato di prendere i suoi effetti personali e di lasciare subito l’appartamento, appellandosi a Kljajic e ad un’ordinanza della Commissione Militare per gli Alloggi.
«Gli ho chiesto perchè mi cacciavano da casa mia dato che ero una cittadina leale che non aveva mai fatto niente. Mi hanno risposto: ‘Devi lasciare l’appartamento perchè sei serba, e non protestare se non vuoi finire nella Drava (il fiume che attraversa Osijek, ndr), e arrivare in questo modo velocemente in Serbia», racconta Slobodanka Jankovic.
Appena sono entrati in casa, un soldato ha preso le chiavi che erano nella serratura. L’hanno buttata fuori dall’appartamento, e le poche cose che è riuscita a portare con sè le ha consegnate ai vicini, non avendo nessun posto dove poterle mettere. Ha chiamato la polizia civile, ma quando i poliziotti sono arrivati non l’hanno neppure presa in considerazione, dicendo invece ai soldati di continuare con il loro lavoro e rifiutandosi anche di stilare un verbale.
La stessa cosa è successa a Jelica e Ninko Zec, che dal settembre del 1976 vivevano nel proprio trilocale, fino a quando non ne sono stati cacciati il 21 aprile del 1992. Come era accaduto ad altri cittadini di Osijek di nazionalità serba, prima hanno ricevuto minacce telefoniche che gli intimavano di andarsene. Poi, il 20 aprile, si sono presentati alla porta di casa sei militari armati dicendogli che avevano 24 ore di tempo per lasciare l’appartamento.
«Il giorno dopo, intorno alle dieci, sono venuti tre uomini armati della polizia militare, hanno sostituito la serratura della porta e hanno spinto me e mia moglie nella strada. Hanno affisso sulla porta di casa nostra un’insegna del Comando di Difesa Cittadino, firmato da Kljajic e con il timbro del Segretariato per la difesa nazionale. Dal momento che non avevamo nessun posto dove andare, abbiamo dormito nella legnaia, in cantina, racconta Jelica Zec.
Quando in seguito alcune famiglie, dopo la guerra, hanno sporto querela in Tribunale, sperando in una ripresa dello stato di diritto, hanno regolarmente perso la causa. La motivazione era sempre la seguente: siccome non avevano utilizzato l’appartamento per un periodo di oltre sei mesi, avevano perso il diritto ad usufruirne. Il Tribunale ovviamente non ha preso in considerazione il fatto che queste persone sono state cacciate dalle proprie case sotto la minaccia delle armi.
Prima della guerra la maggior parte delle persone in ex Jugoslavia, ndt godeva del cosiddetto diritto di alloggio: non erano proprietari, ma potevano utilizzare l’abitazione per tutta la vita. In caso di morte, il diritto di alloggio veniva ereditato dai figli. Dopo che la Croazia è divenuta indipendente, lo Stato ha dato a tutti la possibilità di riscattare tali alloggi ad un prezzo vantaggioso e con forti facilitazioni, con un pagamento distribuito su più anni. Gli appartamenti dai quali sono stati cacciati i Serbi di Osijek, tuttavia, sono stati riscattati da Croati introdotti lì dalla Commissione Militare per gli Alloggi di Kljajic. In questo modo i precedenti locatari, serbi, hanno definitivamente perso il diritto all’alloggio.
«Io ho semplicemente disposto degli appartamenti che erano stati abbandonati dai propri abitanti, serbi, per farvi vivere dei croati espulsi da villaggi nei dintorni» – afferma Kljajic, commentando l’indagine avviata contro di lui. Prossimamente, in Tribunale, potremo vedere come queste parole verranno messe a confronto con le dichiarazioni dei testimoni che su suo mandato sono stati cacciati dalle proprie case.
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