La Commissione per la verità divide la Bosnia (II)
Nella seconda parte dell’inchiesta, le critiche delle vittime al metodo di elaborazione della bozza di legge sulla Commissione e i dubbi sul livello di adesione della società al progetto. Meglio i Tribunali tradizionali, secondo molti. Ma il dibattito è ancora aperto
Di Nerma Jelacic e Nidzara Ahmetasevic*, Balkan Insight Justice Report – Special Package, 31 marzo 2006, BIRN Media Training and Reporting Project (Titolo originale: "Truth Commission Divides Bosnia")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta
Chi sta formando la Commissione?
Dopo la sollevazione contro Mile Mutic uno dei membri del gruppo di lavoro contestato dalle vittime della pulizia etnica a Prijedor, ndt, i gruppi delle vittime e altre organizzazioni hanno chiesto di sapere in base a quali indicazioni, e fornite da chi, fosse formato il gruppo di lavoro. Mentre alcuni media sostenevano che la forza promotrice fosse l’USIP Istituto statunitense per la pace, ndt, altri dicevano che la spinta era venuta dal governo bosniaco.
Anche a Balkan Insight sono state fornite versioni contrapposte.
La versione data dallo stesso gruppo di lavoro è che il parlamento bosniaco ha dato il via alla formazione del gruppo, e ha chiesto ai partiti di nominare dei rappresentanti. "È stata un’iniziativa locale, della leadership del parlamento", ha detto a Balkan Insight Besima Boric, il membro dell’SDP del gruppo.
"Hanno inviato una lettera a tutti i partiti politici dicendo loro che il lavoro sarebbe incominciato definendo una bozza di legge sulla Commissione per la verità e chiedendo loro di inviare dei rappresentanti", ha aggiunto.
La Boric ha detto a Balkan Insight che il gruppo si è formato lo scorso novembre e si è riunito due volte ogni mese. "Gordon Bacon e Neil Kritz partecipano alle riunioni in qualità di consulenti", ha aggiunto. "Deve averli convocati la leadership del parlamento".
Ma un altro membro del gruppo di lavoro, Remzija Kadric dell’SBiH, ha dato una versione dei fatti differente. "Questa non è un’iniziativa locale", ha detto a Balkan Insight. "È stata promossa dalle organizzazioni internazionali, e otto partiti politici l’hanno accettata".
Alcuni rappresentanti della società civile e dei media hanno indicato il Dayton Project come il gruppo maggiormente responsabile. Ma Maja Marjanovic, responsabile di progetto per il Dayton Project, ha detto a Balkan Insight che questa organizzazione non governativa (ong) ha operato unicamente "come una specie di segreteria per supportare il dialogo. Forniamo un aiuto logistico per il lavoro sulla bozza di legge per la Commissione per la verità".
Il Dayton Project venne formato un anno fa con il supporto dell’USIP "per dare una voce alla società civile e aiutare a creare una Bosnia ed Erzegovina stabile", come esso stesso dichiara.
L’organizzazione sta lavorando su due progetti – ognuno dei quali si occupa di questioni chiave derivate dalla guerra. Una sono le riforme costituzionali e l’altra è la Commissione per la verità, o Commissione per la costruzione della fiducia, come la chiamano i documenti del Dayton Project.
Il sito web di questa ong sostiene che essa "valuterà se esiste l’esigenza e la disponibilità per creare una Commissione per la costruzione della fiducia, che si occupi degli eventi che ebbero luogo durante la guerra in BiH Bosnia ed Erzegovina".
Prosegue: "Il Dayton Project e i suoi partner cercheranno un appropriato modello di Commissione per la Bosnia ed Erzegovina".
L’esistenza del gruppo di lavoro è divenuta pubblica per la prima volta in gennaio, ma solo in febbraio è iniziato un significativo dibattito pubblico sul tema.
A giudicare dalle reazioni dei media, molta gente è rimasta contrariata dalla precipitosità con cui è stato istituito il gruppo di lavoro, apparentemente senza consultazioni. Invariabilmente, è stata sollevata la questione di chi abbia dato il via all’intero processo.
"Nell’insieme l’approccio è un disastro, come pure il modo in cui si sono svolte le discussioni", ha dichiarato a Balkan Insight Mirsad Tokaca, del Centro Ricerca e Documentazione, RDC.
"Nessuno sa chi abbia avviato la costituzione del gruppo di lavoro, né di chi sia stata l’iniziativa. Sembra un’operazione semi-segreta", ha aggiunto.
Amira Krehic, del Centro per il libero accesso all’informazione, ha seguito la stessa falsariga. "Non si sa chi abbia fatto nascere questo gruppo né cosa debba fare veramente", ha detto.
La Krehic ha affermato che un membro del gruppo di lavoro le aveva mostrato una lettera del parlamento in cui si chiedeva ai partiti di nominare i propri rappresentanti per il gruppo di lavoro. "Ma al parlamento ci hanno detto che loro non hanno formato questo gruppo, e di chiedere al Dayton Project. E il Dayton Project ci ha detto di chiedere al parlamento", ha dichiarato la Krehic ai media.
Alcuni membri della comunità internazionale che hanno seguito da vicino il processo hanno detto a Balkan Insight che il gruppo di lavoro è stato sicuramente formato su iniziativa dell’USIP.
"Ne hanno discusso l’anno scorso con i gruppi parlamentari, e i gruppi hanno dato il loro appoggio al processo", ha detto una fonte.
Ma Neil Kritz, uno dei principali consiglieri legali dell’USIP, ha dichiarato a Balkan Insight di essersi attivato nel progetto solo dopo essere stato invitato a farlo dal ministro bosniaco per i diritti umani Mirsad Kebo.
"L’idea è venuta dai portavoce parlamentari, tutti e tre" ha detto Kritz a Balkan Insight. "È loro l’idea di stabilire un gruppo che lavori a una bozza di legge. Io sono stato invitato come consulente e consigliere".
Kritz ha una vasta esperienza in materia di Commissioni per la verità in altri Paesi, come pure in materia di giustizia transizionale e di questioni relative ai crimini di guerra in ogni parte del mondo.
"Sono rimasto impressionato da alcune delle discussioni svoltesi in questo gruppo di lavoro", ha detto, facendo notare la determinazione tra i membri del gruppo di mantenere i contatti con il settore civile e col pubblico bosniaco in generale.
Sono state consultate le vittime?
Nel momento in cui il lavoro svolto finora è divenuto di pubblico dominio, rappresentanti di associazioni delle vittime e di semplici cittadini hanno espresso costernazione per non essere state consultate.
"Una Commissione o un’iniziativa fatta senza coinvolgere le vittime non è la benvenuta", ha dichiarato Milijana Bojic dell’Associazione famiglie dei dispersi e imprigionati della Republika Srpska.
Murat Tahirovic, dell’Associazione degli internati nei campi di Bosnia ed Erzegovina, concorda. "Dieci anni dopo la fine della guerra ecco che certi gruppi arrivano suggerendo di svelare la verità su quello che è successo qui durante la guerra", ha detto.
"Nello stesso tempo", ha aggiunto Tahirovic, "il settore non-governativo e la gente, nel cui interesse apparentemente si fa tutto questo, non sa nulla al riguardo".
"Il processo dovrebbe partire dal basso", ha detto Tokaca. "Il processo deve essere inaugurato dai cittadini e non può funzionare come una società segreta. Io sono scettico riguardo al fatto che questa iniziativa possa avere successo".
L’Associazione delle donne di Prijedor è dello stesso avviso. "La verità non può essere stabilita in incontri segreti ed escludendo il pubblico" ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa.
Anche l’Associazione donne vittime di guerra, che riunisce donne che hanno subìto stupri ed altri abusi, è rimasta insoddisfatta, così come l’Organizzazione donne di Srebrenica, che sostiene esplicitamente di essere contraria ad una Commissione formata senza il coinvolgimento delle vittime.
Comunque la Boric ha negato che un gruppo di lavoro formato da politici sia destinato al fallimento. "Tutte le leggi devono passare dal parlamento, e se i parlamentari non danno il loro contributo e non si impegnano in prima persona la legge non sarà approvata", ha dichiarato a Balkan Insight.
"Per questo il nostro gruppo di lavoro è l’opzione migliore", ha aggiunto. "Essi possono garantire che la legge sarà adottata dal parlamento".
Anche il Dayton Project ritiene che la discussione si sia spinta fuori dal contesto, e che la società civile sia stata coinvolta più di quanto pretendano certi gruppi.
"Noi siamo presenti in quanto organizzazione della società civile, e stiamo coordinando il dialogo con le altre organizzazioni", ha dichiarato Marjanovic a Balkan Insight.
La Marjanovic ha detto che il Dayton Project ha organizzato tre incontri per discutere la questione: a Banja Luka in gennaio, a Mostar in febbraio e a Sarajevo in marzo. Ad ogni incontro erano presenti tra dieci e diciotto rappresentanti di gruppi della società civile, ha detto, aggiungendo: "Si trattava principalmente di organizzazioni che rappresentavano le vittime di guerra e alcune altre associazioni di cittadini".
"Le reazioni non sono state uniformi", ha continuato. "Alcuni hanno sostenuto il lavoro della Commissione e l’avvio del gruppo di lavoro. Altri erano esplicitamente contrari. Qualcuno infine era favorevole alla Commissione ma pensava che questo fosse l’approccio sbagliato".
Ma Tokaca insiste che tre incontri non sono stati sufficienti. "Non li si può vedere come incontri in cui sono stati coinvolti i rappresentanti della società civile", ha detto. "Anche i media devono essere coinvolti".
Anche i membri della comunità internazionale hanno preso posizioni diverse, pur concordando tutti sul fatto che una Commissione per la verità deve nascere da un’iniziativa locale ed includere tutti i settori della società.
"Questo deve essere un progetto bosniaco", ha detto a Balkan Insight l’ambasciatore norvegese in Bosnia, Henrik Ofstad. "Quando si tratta di Commissioni per la verità e di iniziative di giustizia, gli internazionali dovrebbero mantenere un basso profilo".
"Questa è la vostra verità, questa è la vostra riconciliazione, il che vuol dire che siete voi a dover prendere l’iniziativa", ha aggiunto.
"Voi in Bosnia avete sofferto perché questo non è stato fatto dopo la Seconda guerra mondiale, dunque cercate di non ripetere questa omissione".
"Il momento è quello giusto? Sta ai bosniaci decidere", ha detto. "Il fatto che il leader serbo Slobodan Milosevic sia morto è un argomento a favore perché non venga sprecato altro tempo. Bisogna cercare la verità finché le persone sono ancora vive".
Porter, della Commissione internazionale persone scomparse, ICMP, concorda: "La decisione se si debba creare una Commissione per la verità e che mandato essa debba avere sta interamente ai cittadini di questo Paese".
Didier Chassot, incaricato d’affari dell’ambasciata svizzera a Sarajevo, ha detto a Balkan Insight che c’è una concreta esigenza di promuovere il dialogo sulla verità.
"Siamo alla fase in cui c’è bisogno di sedersi a un tavolo e stabilire una soluzione che vada bene per tutti", ha detto. "Ma una soluzione così non si trova già fatta. Ecco perché tutte le parti interessate dovrebbero essere coinvolte".
Chassot ha però ammonito sul non permettere alla Commissione di entrare in competizione con gli approcci giudiziari già esistenti in Bosnia verso i crimini di guerra.
"Alcuni hanno cercato di frammentare il dibattito in questi termini. Ciò è sbagliato. Ci dev’essere un approccio che preveda la coesistenza di percorsi paralleli", ha detto.
Ma i bosniaci vogliono la Commissione?
Questa domanda, se la Bosnia ed Erzegovina voglia o necessiti di una Commissione per la verità, rimane senza risposta.
Slavisa Jovicic, dell’Associazione internati nei campi della Republika Srpska, è a favore. "La Commissione non può portare alla riconciliazione, ma può stabilire la verità", ha detto.
"La Commissione deve includere i rappresentanti delle vittime di ogni nazionalità. Noi non stiamo cercando una parità in termini di quantità di crimini, stiamo cercando giustizia. La Commissione deve avere il mandato di poter domandare tutti i dati di cui ha bisogno – basta col nasconderli nei cassetti delle scrivanie", ha aggiunto.
"Io voglio che ogni cosa sia spiegata, e che si tenga conto di ogni singolo individuo", ha concluso la Jovicic.
La Commissione non avrà in effetti un vero e proprio mandato per considerare i singoli casi, dato che questo è il compito del Tribunale dell’Aja (ICTY), della Camera per i crimini di guerra di Sarajevo e di altre Corti di livello inferiore nel Paese.
Inoltre, Murat Tahirovic, anch’egli dell’Associazione internati nei campi della Republika Srpska, dice che sarebbe forse stato più utile dare i soldi assegnati per la Commissione alle Corti, per investigare e ricercare i criminali di guerra e contribuire in questo modo alla verità.
"Il denaro è costantemente drenato verso le Commissioni, mentre i nostri testimoni non ricevono neppure un minimo rimborso giornaliero per venire a testimoniare", ha detto. "Stanno formando questa Commissione perché qualcuno possa approfittare della nostra miseria".
"Sappiamo che da questo ambito si può guadagnare molto", concorda Kada Hotic, dell’Associazione delle madri delle enclave di Srebrenica e Zepa. "Se qualcuno ha questo obiettivo, dovrebbe vergognarsi".
"Ci sono delle istituzioni dello Stato già costituite, come la Corte di Stato e l’Ufficio del procuratore, che dovrebbero occuparsi di queste cose", ha detto Milijana Bojic, dell’Associazione dispersi e imprigionati della Republika Srpska.
Ma la Boric non è d’accordo: "Una Commissione è necessaria perché continuare a vivere con tre o cinque verità diverse è una catastrofe", ha detto a Balkan Insight.
"Ci sono moltissime persone che vorrebbero raccontare quello che è successo loro, io stessa sono una di queste. Ma non avranno mai l’occasione di testimoniare in un processo, e le loro storie non saranno mai portate alla luce", ha detto la Boric.
"Le Corti sono una parte molto importante di questa storia ed offrono una via verso la verità, ma questa via è davvero troppo lenta", ha aggiunto.
Ramzija Kadric, suo collega nel gruppo di lavoro, ha una visione più complessa.
"Io sono contemporaneamente favorevole e contrario alla sua formazione", ha detto. "Abbiamo bisogno di una Commissione solo se essa riuscirà a scoprire le cause, gli scopi e i risultati della guerra in Bosnia. Se la Commissione non dovesse riuscire a far questo, forse si dimostrerebbe che non era il momento giusto" ha detto a Balkan Insight.
Anche la dottoressa Erna Paris, autrice del libro "Long Shadows: Truth Lies and History" ("Lunghe ombre: verità menzogne e storia"), è più sfumata nelle sue opinioni. "Le Commissioni per la verità possono essere utili ma la popolazione dev’essere pronta", ha detto. "Io non sono sicura se in Bosnia sia già così".
"Un giorno tutti dovrete reintegrarvi e vivere nuovamente insieme, nonostante le "entità" separate voi occupate lo stesso spazio geografico. Ecco perché una Commissione per la verità sarà uno strumento utile, anche se è ancora un po’ presto", ha aggiunto la Paris.
Kritz, dell’USIP, è d’accordo che una Commissione per la verità potrebbe aiutare a risolvere la questione delle storie contrastanti che riguardano la guerra in Bosnia.
"La questione dovrebbe essere risolta unicamente dal popolo della Bosnia ed Erzegovina. Non da me, né da nessun altro internazionale. Non dagli alti commissari, né dall’USIP, né da nessun altra organizzazione o istituzione", ha detto a Balkan Insight.
Marjanovic del Dayton Project è attento a sottolineare che non si è ancora arrivati a nessun accordo.
"Questa è solo la
rima fase del progetto. Ci saranno ulteriori consultazioni", ha detto. Vogliamo scoprire se ciò è assolutamente necessario per il Paese, e solo in questo caso completeremo la bozza di legge".
C’è ancora tempo
Chi è coinvolto nel gruppo di lavoro è attento a ricordare ai critici che la legge in questione è solo una bozza, che non sarà presentata in parlamento nella sua forma attuale.
"Siamo ancora lontani dall’iter parlamentare, cosicché c’è ancora spazio per contribuire al disegno della commissione, della sua composizione e del suo mandato", ha detto la Marjanovic.
"Noi prevediamo di completare la bozza per l’inizio di aprile. Poi chiederemo un commento alle parti interessate" ha aggiunto.
Ma quando le è stato chiesto in che modo esattamente la gente comune e le organizzazioni avrebbero potuto essere coinvolte in questa seconda fase del progetto, la Marjanovic non è riuscita a fornire una risposta chiara.
"Con precisione non ve lo so dire", ha detto. "Tra due o tre settimane faremo delle consultazioni. Queste potrebbero durare due o tre mesi, forse di più. Avremo un piano di lavoro al riguardo entro due settimane".
Al gruppo di lavoro non è stata data neppure una chiara data di scadenza per completare i suoi compiti. "Ancora non ci sono date di consegna", ha detto a Balkan Insight la Boric. "Noi comunque vogliamo finire questa bozza il prima possibile e sottoporla alla pubblica discussione".
"C’era l’idea che tutto avrebbe dovuto essere completato per la fine di marzo o di aprile, ma non sarebbe stata una buona cosa", ha aggiunto. "Questo è un anno di elezioni e non sarebbe bene che i partiti usassero questo tema per le loro campagne. Questo è un argomento da affrontare in pace".
La Boric ha poi detto che solo dopo le elezioni di ottobre "scopriremo ogni cosa, compreso se è il momento adatto per la Commissione".
Fino ad allora, ha sostenuto, i bosniaci dovrebbero impiegare questo tempo per discutere costruttivamente le diverse opzioni.
"La cosa più facile è dire: ‘Non ne abbiamo bisogno, la verità la sappiamo già’," ha aggiunto.
"Tu puoi dire così e diventare l’eroe del giorno. Ma ci vuole molto più senso di responsabilità per portare avanti il dialogo".( 2 – fine)
*Nerma Jelacic è direttrice di BIRN Bosnia ed Erzegovina. Nidzara Ahmetasevic è redattrice della pubblicazione internet di BIRN Bosnia ed Erzegovina Justice Report. Balkan Insight è la testata online di BIRN
Vai alla prima parte dell’inchiesta:
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