La Cina nei Balcani, arrivata per restare
La presenza cinese nei Balcani è in crescita, soprattutto nel quadro della sua "Belt and Road Initiative" – la nuova Via della Seta tra Oriente e Occidente – che offre opportunità, ma anche rischi. Un’intervista all’analista Jens Bastian
La “Belt and Road Initiative – BRI" (vedi box) è uno dei progetti più ambiziosi promossi dal governo di Pechino. Qual è il ruolo della cosiddetta “Via della Seta Balcanica” nel più ampio contesto dell’iniziativa?
In generale, le attività cinesi nell’emergente “Via della Seta Balcanica” sono ben accolte dai politici dell’Europa sud-orientale. Nonostante i visibili progressi registrati dalle compagnie cinesi nella regione, il punto di riferimento per l’economia di questi paesi rimane – per il momento – l’Unione europea, ancora e di gran lunga la principale fonte di investimenti esteri, scambi commerciali e assistenza allo sviluppo della regione.
Di conseguenza, è più appropriato considerare oggi la Cina come un complemento, piuttosto che un sostituto dei partner europei. La “Via della Seta Balcanica” a trazione cinese è senza dubbio una fonte supplementare di fondi e di opportunità di modernizzazione per le infrastrutture della regione, ma non ancora un sostituto per l’economia di nessuno dei paesi coinvolti.
La Cina, tuttavia, sta investendo in un sistematico processo di costruzione di credibilità proprio attraverso la “Via della Seta,” per pareggiare così le già consistenti capacità di finanziamento nel contesto della “Belt and Road Initiative”. In altre parole, la “Via della Seta Balcanica” rappresenta un terreno di prova per la BRI sul suolo europeo. Le prime impressioni suggeriscono che questo sforzo procede a ritmi accelerati e con risultati già visibili sul campo.
Il potenziale di sviluppo della BRI lungo la Via della Seta Balcanica sta quindi prendendo forma. Nei paesi del sud-est europeo, gli scambi commerciali continueranno a tendere sempre più in direzione della Cina. Nel frattempo, la regione diversificherà ulteriormente le proprie fonti di capitale, tramite i prestiti e l’aumento degli investimenti azionari cinesi. Una delle maggiori spinte a questo processo verrà, negli anni a venire, dal crescente numero di turisti provenienti dalla Cina e diretti verso il sud-est europeo.
Le basi per questa espansione, ovvero porti, ferrovie e infrastrutture stradali sono in via di realizzazione. L’accesso a beni di consumo cinesi a buon mercato, dai vestiti ai telefoni e ai motorini, è destinato a crescere. La Cina e i paesi del sud-est Europa stanno dando inizio ad una storia di cooperazione, e imparano a lavorare insieme. La Cina è una nuova arrivata nella regione, ma resterà saldamente in gioco per gli anni a venire.
Quali sono le priorità e gli strumenti della crescente presenza cinese nel Sud-Est Europa?
La presenza della Cina nel Sud-Est Europeo è relativamente recente: al contrario di paesi come la Russia o istituzioni multilaterali come la Commissione Europea o la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), la Cina sta iniziando a lasciare la sua impronta nella regione solo ora, quasi trent’anni dopo il crollo del muro di Berlino. Mentre Mosca, la Commissione UE e la BERS hanno una lunga e consolidata storia di attività ed investimenti nella regione, Pechino ha iniziato a guardare in modo serio a quest’area solo a partire dal 2009.
Ad un macro livello, molti dei progetti infrastrutturali cinesi possono aumentare la produttività della regione a medio termine, ad esempio riducendo i costi dei trasporti entro ed attraverso i confini di questi paesi. Ma rimane ancora da decifrare fino a che punto i nuovi collegamenti tra Skopje, Belgrado, Sarajevo e Banja Luka siano finanziariamente sostenibili sul medio e lungo termine. Al momento sembra che porti, oleodotti e gasdotti siano più facili da monetizzare rispetto a centrali termiche, ponti e infrastrutture stradali.
Molti di questi progetti sono stati pensati principalmente per il trasporto e la distribuzione di beni cinesi in Europa, ma difficilmente un traffico ad una sola direzione su queste nuove vie si rivelerà economicamente vantaggioso. Senza dubbio, i nuovi ed emergenti collegamenti internazionali garantirebbero maggiori benefici se utilizzati in entrambe le direzioni.
L’impegno cinese nell’Europa sud-orientale è presente su vari livelli. La regione può essere vista come un terreno di prova per le crescenti ambizioni cinesi in Europa, che si tratti della costruzione di strade o dell’investimento in porti, infrastrutture energetiche o ferrovie. La realizzazione della Via della Seta nella regione balcanica avrà, nel tempo, ripercussioni positive in particolare sul commercio regionale, sui collegamenti al settore manifatturiero cinese e sui suoi esportatori di beni.
Col passare degli anni, si potranno registrare tangibili effetti positivi sull’aumento dell’occupazione e sulla crescita delle piccole e medie imprese lungo la “Via della Seta Balcanica”. Ma questi potenziali benefici si concretizzeranno solamente se e quando le compagnie cinesi cercheranno di coinvolgere un maggior numero di aziende e competenze locali, invece di utilizzare soprattutto forza lavoro e personale dirigente proveniente dalla Cina.
Per migliorare la cooperazione con l’Europa dell’Est e con quella Centrale, la Cina ha promosso la creazione della cosiddetta “iniziativa 16+1”, che include anche la maggior parte dei paesi dell’Europa Sud-Orientale. Quali sono i suoi obiettivi e le sue principali caratteristiche?
Il progetto della “Via della Seta Balcanica” è, innanzitutto, diretto all’espansione commerciale cinese. La struttura dell’iniziativa 16+1 si concentra quindi sulla volontà dei paesi del Centro, Est e Sud-Est Europa di approfondire la propria collaborazione commerciale con la Cina. L’ondata delle esportazioni cinesi verso molti di questi paesi ha ulteriormente accresciuto i loro deficit commerciali con il paese asiatico, in particolar modo nel caso di Polonia, Romania e Ungheria.
Le relazioni tra la Cina e il Sud-Est Europa sono ancora in via di sviluppo. Le iniziative cinesi offrono prestiti, investimenti e un incremento nella cooperazione commerciale in una regione ancora caratterizzata da seri ostacoli economici e difficoltà politiche. L’impegno include numerosi attori con agende diverse e a volte contrastanti. L’assetto del 16+1 permette ai paesi del Centro, Est e Sud-Est Europa di fare affari con numerosi istituti di credito, con imprese statali, col governo centrale di Pechino e con varie amministrazioni regionali cinesi, con compagnie private e con le rappresentanze diplomatiche.
I paesi che fanno parte del 16+1 vedono nella Cina un’opportunità che garantisce loro l’assistenza finanziaria necessaria alla costruzione di autostrade, all’espansione dei porti e alla modernizzazione dei loro impianti. La questione fondamentale per i governi del Centro, Est e Sud-Est Europa è però, come assumere il controllo dell’emergente relazione con la controparte cinese nella cornice del 16+1?
A mio avviso, la presenza di capisaldi istituzionali come la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, le delegazioni europee, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e il Consiglio di Cooperazione Regionale (CCR) a Sarajevo può dar loro una mano nella navigazione di questa complessa relazione, ad esempio in ambiti come quello degli appalti pubblici, della conformità agli standard ambientali e della trasparenza finanziaria. Nella cornice del 16+1, la garanzia del rispetto delle regole e degli standard ambientali dell’Unione Europea nella costruzione e nella gestione delle centrali termiche finanziate dalle banche cinesi sono aree in cui il dialogo politico con le istituzioni internazionali sarà fondamentale.
La Grecia è oggi un punto focale degli investimenti e della presenza cinese nel Sud-Est Europa, specialmente a seguito dell’acquisizione del Pireo da parte del gruppo COSCO (China Ocean Shipping Company), la compagnia di spedizioni e di logistica di proprietà dello stato cinese. Quali sono le conseguenze a medio e lungo termine di investimenti così importanti?
La Grecia è il punto di approdo nei Balcani nel quadro della BRI. Oltre all’iniziale focus sul settore marittimo, gli investimenti cinesi in Grecia si sono allargati ad altri ambiti, soprattutto turismo, commercio al dettaglio ed energia.
Negli ultimi anni la Cina si è mossa in modo aggressivo coi suoi investimenti in Grecia. I dettagli di questa strategia offrono una lente interessante attraverso la quale analizzare le crescenti capacità e ambizioni della Cina nei Balcani e nell’Europa Centrale e Sud-Orientale. L’iniziale investimento del 2009 della COSCO nel terminale dei container del porto rappresenta la pietra miliare che segna l’esordio delle ambizioni europee di Pechino, con grandi implicazioni nel tempo non solo per il Pireo, ma anche per i paesi circostanti.
Fin dall’inizio la COSCO Hellas, la sussidiaria della compagnia cinese in Grecia, ha espresso il desiderio di acquistare la maggioranza dell’Autorità Portuale del Pireo. Nell’agosto del 2016 ha preso possesso del 51% delle azioni al prezzo di 280.5 milioni di euro. Il fondo di privatizzazione greco Hellenic Republic Asset Development Fund (HRADF, o TAIPED in greco) ne detiene ancora il 23.4%, mentre altri investitori il 25.86%. Il contratto di vendita stipula che se la COSCO dovesse soddisfare particolari condizioni, investendo fino a €300 milioni nei prossimi cinque anni, potrà aumentare la sua quota azionaria del 16% – fino a detenerne quindi il 67%. – pagando all’HRADF ulteriori 88 milioni di euro. Il prezzo complessivo dell’acquisto dell’Autorità Portuale del Pireo raggiungerebbe quindi i 368.5 milioni.
A seguito dell’accordo di vendita, la COSCO, che ha base a Hong-Kong, si è imbarcata in un progetto di investimenti multi-milionario per trasformare il porto del Pireo in un importante centro navale e snodo logistico per il commercio e gli spostamenti tra l’Asia e il Sud-Est Europa. Questa duplice iniziativa include la creazione e l’espansione di basi logistiche tramite la Piraeus Consolidation & Distribution Center (PCDC), una sussidiaria della COSCO.
Inoltre, la nuova attenzione sul turismo riflette la crescente domanda di turisti cinesi che vogliono visitare la Grecia. A partire dall’autunno 2017, Air China ha iniziato ad operare due voli diretti tra Pechino ed Atene, con successivi imbarchi dei turisti cinesi al Pireo su navi da crociera che salpano per l’Egeo, la Costa Adriatica e il Mediterraneo. Allo stesso modo, nel maggio 2017 la COSCO Shipping ha firmato un accordo con China Eastern Airlines per organizzare voli privati che portino gruppi di turisti cinesi in Grecia.
Nel febbraio 2017, l’amministratore delegato della China Development Bank (CDB), Hu Huaibang, ha annunciato di voler espandere la presenza del proprio istituto in Grecia, principalmente tramite il finanziamento di progetti legati ad infrastrutture energetiche. Un memorandum d’intesa tra la Banca Centrale Ellenica e la China Development Bank per la promozione del commercio bilaterale al dettaglio e degli investimenti era già stato concordato nel luglio 2016. Hu Huaibang ha sottolineato che il suo istituto – una delle banche per i prestiti allo sviluppo più grandi al mondo – ha creato fondi di investimento speciali per il finanziamento della crescita di imprese in diversi paesi europei.
Ci si dovrebbe però ricordare che gli investimenti cinesi in Grecia non sono solamente il risultato di un’accurata diplomazia economica, le cui fondamenta sono state gettate anni addietro con l’intervento al Pireo. Nel dicembre 2016, la State Grid Corporation of China, la più grande società elettrica al mondo, ha comprato una quota azionaria di minoranza (24%) della ADMIE, operatore greco dell’energia elettrica. Questo è stato il secondo investimento della Cina nel corso del 2016, inferiore solo all’acquisizione dell’Autorità Portuale del Pireo.
L’acquisto della quota azionaria della ADMIE in Grecia integra altri investimenti a che la State Grid Corporation ha effettuato in Portogallo (25% della quota azionaria della REN nel 2012), in Italia (35% della CDP Reti nel 2017) e Spagna (dove sta cercando di acquisire la quota della tedesca E.ON nel nord del paese).
Queste acquisizioni creano una rete o un gruppo di investimenti che permettono alla State Grid Corporation di stabilire gradualmente un portafoglio di reti elettriche in Europa. Questo modello di sviluppo è ancora più degno di nota se si considera che è guidato dallo Stato cinese e che contrasta con il basso livello di investimenti transfrontalieri che viene fatto dalle compagnie europee all’interno dell’UE.
Allo stesso tempo, sembra che la Serbia si stia guadagnando un ruolo centrale nei piani regionali di Pechino come “hub di collegamento” della presenza cinese nel Sud-Est Europa…
La cooperazione economica tra Cina e Serbia si è notevolmente espansa a partire dalla firma di un accordo di partenariato strategico nel 2009, intesa che include investimenti nelle infrastrutture. La partnership, basata soprattutto su progetti nel settore dei trasporti, ha ricevuto ampi finanziamenti da stato a stato tramite varie banche controllate da Pechino. Anche il terzo summit Cina-Balcani nel quadro dell’iniziativa 16+1 si è tenuto a Belgrado nel dicembre del 2014.
I dati più recenti sul commercio internazionale della Serbia mostrano che nel 2016 la Cina era il quarto partner commerciale del paese, per un totale di 1.469 miliardi di euro. La bilancia commerciale è però quasi interamente a favore della Cina, seconda fonte di importazioni in Serbia, ma fuori dalle prime dieci posizioni come destinazione delle esportazioni serbe.
Dal punto di vista cinese, la Serbia è un mercato relativamente piccolo e senza sbocchi sul mare. Ma non sono né la geografia, né la grandezza a contare: il vero punto fondamentale è la connettività. La Serbia è un partner commerciale allettante perché ha firmato accordi con l’Unione Europea, la Turchia e la Russia. Inoltre gode anche di una stabilità politica non scontata nei paesi che la circondano. Altrettanto importante è il fatto che – da gennaio 2017 – non sia più richiesto il visto per viaggiare tra i due paesi.
Nel 2015 la quota di investimenti cinesi (Hong Kong inclusa) in Serbia ammontava al 3.1% del totale, per poi aumentare a 9.2% nel 2016. Questo considerevole aumento è dovuto all’acquisizione dell’acciaieria “Zelezara Smederevo” da parte della cinese He Steel Group, un affare da 46 milioni di euro portato a termine nel 2016. Bisogna anche sottolineare che la principale fonte degli investimenti portati avanti da banche cinesi provenga soprattutto da Hong Kong e non dalla parte continentale del paese. Secondo le stime della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, nel biennio 2015-2016 da Hong Kong alla Serbia sono arrivati prestiti per 350 milioni di dollari.
Nel gennaio 2017 la Bank of China (BoC) ha aperto la sua nuova filiale a Belgrado. È una sussidiaria della BoC collocata in Ungheria, paese dove la banca asiatica ha già piena licenza di operare e con le cui autorità possiede un accordo di partenariato strategico dal gennaio 2017. Al momento, questa forma di investimento indiretto dovrebbe essere vista come una decisione politica con la quale una banca cinese stabilisce una rappresentanza in Serbia, per poi espandere le proprie operazioni finanziarie a medio termine e in modo graduale.
L’importanza della Serbia per la BRI è stata più volte rimarcata dal presidente cinese Xi Jinping, com’è avvenuto, ad esempio, durante la sua visita di stato di tre giorni nel giugno 2016. Xi vede la Serbia giocare un ruolo principale nella cooperazione tra la Cina e i paesi dell’Europa Centrale ed Orientale. Al fine di dare consistenza a simili dichiarazioni diplomatiche, Pechino si sta impegnando per diventare un creditore di rilievo per i progetti infrastrutturali in Serbia. Il focus resta nel campo dei trasporti (strade e ferrovie), nell’industria dell’acciaio e nei progetti del settore energetico.
Nei Balcani, la “Belt and Road initiative” si incontrerà e, probabilmente, si sovrapporrà alla presenza di un altro attore regionale con piani a lungo termine, la Russia. Riusciranno a cooperare o l’antagonismo è inevitabile?
Più la Cina calcherà la mano nei prestiti e negli investimenti nel Sud-Est Europa, e più si troverà a contatto e dovrà reagire alla presenza di altri paesi che hanno rapporti di lunga data con la regione. Ovviamente, questo processo implica il dover avere a che fare con la Russia e la sua presenza in paesi come la Serbia (nel settore energetico) o in Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina.
La Cina e la Russia stanno già espandendo la propria cooperazione commerciale, bancaria e infrastrutturale. Ad esempio, la Cina sta costruendo collegamenti ferroviari come quello tra Mosca e Kazan tramite la concessione di prestiti alle banche russe – impegnandosi, nello stesso momento, nella costruzione di vari porti nella regione artica della Russia.
Evitare progetti ed iniziative che potrebbero causare interferenze tra la “Belt and Road Initiative” e l’Unione Economica Eurasiatica guidata dalla Russia è di fondamentale importanza per il consolidamento della cooperazione. Nonostante vi sia una sovrapposizione geografica tra le due iniziative, Pechino e Mosca sono state molto caute nello scongiurare ogni azione, anche solo accennata, che potesse danneggiare la controparte tramite progetti in competizione.
L’asse russo-cinese darà frutti se entrambi i paesi appariranno sullo stesso livello nella loro reciproca cooperazione. In altre parole, Mosca vorrà evitare di sembrare il partner di minoranza nei progetti congiunti tra i due paesi. La realtà dei fatti suggerisce, però, che il coinvolgimento e le risorse finanziarie impegnate dalle autorità di Pechino per la realizzazione della BRI saranno difficilmente eguagliati da Mosca. Negli anni a venire sarà necessaria un’astuta diplomazia economica per coprire questa differenza strutturale.
Lei ha affermato che “il Sud-Est Europa rappresenta un terreno di prova per le ambizioni europee della Cina”: è troppo presto per una prima valutazione dei risultati e della sostenibilità delle politiche di Pechino nella regione?
L’arrivo di investitori, creditori e turisti cinesi nel Sud-Est Europa evidenzia un crescente sviluppo nella regione. Il Sud-Est Europa è sempre più un punto d’attenzione per attori istituzionali e globali interessati ad espandere la propria sfera d’influenza. Più specificamente, si tratta della regione che comprende la Grecia, i Balcani occidentali e il Mar Nero, dove alcuni paesi fanno parte dell’UE e della NATO mentre altri sono paesi candidati, e dove la presenza di entità come la Russia, la Turchia, la Cina e altri attori multilaterali come l’Unione Europea, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), la Banca Europea degli Investimenti (BEI) e il Fondo Monetario Internazionale continua a crescere.
Le attività cinesi in via di espansione in Grecia, Serbia, Macedonia, Albania, Montenegro, Bosnia Erzegovina e Ungheria rappresentano una sfida per l’UE, per i creditori come la Banca Mondiale e per la BEI, la BERS e il Consiglio di Cooperazione Regionale (RCC) di Sarajevo. Queste istituzioni devono riuscire a stabilire le proprie priorità strategiche e a sviluppare un piano di cooperazione con le autorità e le compagnie cinesi che stanno cercando di portare avanti acquisizioni, di concedere prestiti o di partecipare in gare pubbliche d’appalto.
Una valutazione critica del progetto della “Via della Seta Balcanica” non può ignorare i rischi connessi alla creazione di dipendenza creditizia per i paesi della regione nei confronti di Pechino. Le prospettive di crescita a medio e lungo termine per i singoli paesi soggetti alla “Via della Seta Balcanica” rischiano di essere eccessivamente dipendenti dagli investimenti cinesi, in particolar modo per quanto riguarda quelli delle compagnie di proprietà o comunque gestite dallo stato cinese, che concedono opportunità di prestito agevolato.
Molte di queste compagnie sono appesantite da forti debiti e soffrono per la loro eccessiva dipendenza dalle esportazioni. Se le autorità cinesi dovessero tagliare i prestiti a queste compagnie, le potenziali ricadute sulle loro sussidiarie nei Balcani potrebbero considerevolmente diminuire i piani di investimento esistenti, le promesse per la creazione di nuovi posti di lavoro e lo sviluppo di piccole e medie imprese.
Inoltre, gli odierni investimenti cinesi nella regione sono caratterizzati da un senso di ottimismo, di opportunità e di volontà di trarre il meglio dalle risorse limitate a disposizione. I progetti infrastrutturali vengono completati in tempo, favorendo così il comparire di nuove iniziative imprenditoriali. Costruire un bagaglio di storie di successo legate ai progetti cinesi è un elemento essenziale per la BRI.
Fin qui tutto bene. Ma se qualcosa andasse storto? Se un progetto fallisse? Se questi investimenti nel Sud-Est Europa si rivelassero inutili, o addirittura dannosi e non più desiderabili? In Grecia, Serbia, Macedonia o in Bosnia Erzegovina non ci sono ancora prove concrete in grado di dare una risposta a queste domande. Ma esistono vari esempi di casi simili verificatisi in altri paesi in altri continenti.
Un aeroporto costruito con prestiti cinesi in Sri Lanka, oppure una ferrovia in Africa realizzata e finanziata dalla Cina sono testimonianze del fatto che non tutti i progetti, una volta completati, sono sostenibili nel tempo. Il ritardo nell’inizio dei lavori per la costruzione della ferrovia ad alta velocità tra Budapest e Belgrado non è soltanto il riflesso di difficoltà finanziarie o delle recenti indagini sulle regole di appalto del governo ungherese nei confronti delle compagnie cinesi. È anche un esempio di come alcuni di questi nuovi progetti infrastrutturali (inclusi quelli in Bosnia Erzegovina) debbano essere valutati secondo la loro reale necessità e fattibilità tecnica, cercando nel contempo di capire fino a che punto le condizioni finanziarie corrano il rischio di creare dei nuovi livelli di dipendenza tra i singoli paesi.
L’altra questione che desta preoccupazione tra gli stati dell’UE è cercare di comprendere se le attività della Cina nell’Europa Centrale e Sud-Orientale possano essere finalizzate all’acquisto di influenza politica. Due eventi recenti in Grecia e in Ungheria, entrambi membri dell’UE, fanno pensare che la faccenda possa effettivamente essere degna di nota. Nel giugno di quest’anno, durante una seduta del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, la Grecia non ha appoggiato una dichiarazione congiunta degli altri 27 membri dell’Unione che criticava le violazioni dei diritti umani da parte della Cina. La posizione di Atene costituisce la prima spaccatura nella decennale unanimità dell’UE sull’argomento. A mio avviso, le autorità politiche di Atene hanno giocato con il fuoco in questa occasione: per la Grecia c’è poco da guadagnare e molto da perdere mettendosi contro i propri partner europei.
Nel caso dell’Ungheria, la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta formale sulle procedure di appalto per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità tra Budapest e Belgrado, assegnata a compagnie cinesi. Per questo progetto infrastrutturale da 2.4 miliardi di euro – unico nel suo genere per volume – non sono stati rispettati i regolamenti UE, alle quali le autorità ungheresi devono sottostare in quanto membri dell’Unione.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua