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La chiesa di Jovan

Il vescovo Jovan è stato rilasciato di prigione, dopo aver scontato 8 mesi di carcere per incitamento all’odio religioso, a seguito del tentativo di costituire una chiesa serba a Ohrid in Macedonia. Tuttavia le polemiche tra le due chiese, quella macedone e quella serba, non accennano a placarsi

27/03/2006, Risto Karajkov -

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Il controverso vescovo Jovan, il sacerdote serbo che ha cercato di costituire una chiesa serba in Macedonia, è stato rilasciato dal carcere all’inizio di questo mese – solo per poi finire immediatamente al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica.

La Corte suprema ha ridotto la sentenza di Jovan Vraniskovski (il nome civile del vescovo Jovan) per incitamento all’odio religioso, dagli originali 2 anni e mezzo a 8 mesi, già a febbraio. Il sacerdote è stato immediatamente scarcerato, dal momento che aveva già trascorso il tempo stabilito, ed è andato dritto alla sua parrocchia, tornando ai suoi uffici religiosi. Ma Jovan ha altre accuse in corso per appropriazione indebita presso altre corti del paese.

Appena uscito di prigione, l’opinione pubblica si è trovata di nuovo contro di lui.

La notizia è stata che egli aveva ricevuto un supporto finanziario da parte del governo serbo. La Chiesa ortodossa macedone (MPC) ha tenuto una conferenza stampa all’inizio di questo mese, dove ha presentato un documento che poneva in evidenza come il Ministero serbo per la religione avesse stanziato una somma di circa 6.000 euro per le operazioni dell’Arcidiocesi ortodossa di Ohrid guidata da Jovan, per il mese di gennaio 2006.

Secondo il Sinodo, l’organismo centrale della MPC, si tratta di una diretta interferenza negli interessi dello Stato e della Chiesa macedone, ed è l’ennesima dimostrazione dell’imperialismo grande-serbo.

Subito dopo la rivelazione del documento, i maggiori funzionari della Chiesa hanno avuto un incontro con il presidente Branko Crvenkovski e col primo ministro Vlado Buckovski.

"Questo tipo di attività del governo della Serbia non contribuiscono al miglioramento delle relazioni bilaterali, né al secolarismo manifestamente proposto da tutti. Potrebbero persino essere interpretate come un immischiarsi negli affari interni di un Paese sovrano", ha dichiarato Crvenkovski.

Secondo il capo della MPC, l’arcivescovo Stefan, la leadership della Chiesa serba ortodossa dovrebbe realizzare che l’annosa disputa con la MPC non può essere risolta con la creazione di chiese parallele.

"Ciò che sta accadendo con la MPC non fa parte dei canoni, delle regole, né delle tradizioni di qualsiasi chiesa ortodossa. Credo che sia del tutto chiaro che è il nome della Repubblica di Macedonia il vero problema", ha dichiarato l’arcivescovo Stefan, ripetendo una vecchia posizione circa gli interessi contrastanti della Chiesa serba e di quella greca contro l’autonomia dei loro vicini macedoni.

Il ministero degli Esteri macedone ha chiesto spiegazioni alle autorità serbe, ma anche prima di ciò, il ministero serbo per la religione ha reso nota una dichiarazione in cui si dice che Belgrado non vede nulla di sbagliato nell’occasionale fornitura di assistenza finanziaria alle parrocchie serbe all’estero. Questo non è visto come un’interferenza negli affari interni ma come un supporto alla promozione della cultura religiosa e alla protezione dell’identità culturale e religiosa. Nella dichiarazione si legge inoltre che il governo della Serbia è grato per le donazioni estere a favore delle comunità religiose che operano sul territorio della Serbia e Montenegro.

Come figura centrale dell’intero caso, il vescovo Jovan ha detto che il fatto sensazionale ha coinciso col suo rilascio di prigione.

"Penso che questo fatto sensazionale sia stato creato su un contenuto che era noto alle autorità macedoni da parecchio tempo, in virtù di un lavoro di intelligence, come la nostra posta, che non cerchiamo di nascondere e in qualche modo è trasparente, e che è stata controllata per un certo periodo, anche prima che andassi in carcere", ha detto il vescovo Jovan, "Loro hanno semplicemente coordinato questo fatto sensazionale con il momento del mio rilascio", ha aggiunto.

Il vescovo Timotej

Il portavoce della MPC, il vescovo Timotej ha negato le accuse di Jovan e ha detto che se avessero avuto prima le informazioni sul finanziamento serbo le avrebbero rese note, perché, ha aggiunto, smascherano Jovan e servono come prova del fatto che "non si è comportato da prete e da pastore, ma come un’anima venduta, servo degli interessi stranieri e della causa serba".

Il vescovo Timotej ha detto inoltre che ciò potrebbe deteriorare ulteriormente le relazioni tra la Chiesa serba e quella macedone dal momento che è chiaro che la Chiesa serba non prende in considerazione le normali relazioni, ma sta solo cercando di distruggerle e di creare problemi. Egli ha inoltre criticato il recente rapporto del Dipartimento di Stato USA, il quale considera legale la chiesa del vescovo Jovan, e le recenti reazioni dell’Helsinki Committee per i diritti umani di Macedonia, il quale ha raccomandato alla MPC di considerare pure l’apertura di sue sezioni nei paesi vicini.

"Il Dipartimento di Stato può dire ciò che vuole. Questo è lo stato macedone e la Chiesa macedone è incaricata di agire qui. Non dovremmo prestare ascolto ad ogni contestatore che compare. L’Helsinki Committee è indubbiamente pagato per ciò che fa, così come lo stesso Jovan, da altri centri; loro sono agenti di certe strutture", ha dichiarato in una recente intervista il vescovo Timotej.

Egli ha aggiunto inoltre che creare chiese macedoni nei paesi limitrofi è impossibile; la Grecia non consente che la comunità macedone costruisca là delle chiese, né ciò è possibile in Serbia.

Anche l’ambasciatore dell’UE in Macedonia, Ervan Fuere, ha incontrato i più alti funzionari della MPC, rivolgendosi poi all’opinione pubblica con una attenta dichiarazione secondo la quale la delegazione continuerà a monitorare gli sviluppi e che "l’intolleranza non dovrebbe essere promossa nel nome della religione".

Sotto pressione internazionale la Macedonia sta per emendare la sua legislazione sulle comunità religiose, che era stata valutata dal Dipartimento di Stato USA come molto restrittiva.

Il vescovo Jovan spera che con la nuova legislazione gli sarà possibile registrare la sua chiesa, alla quale è stata negata la registrazione già diverse volte. In alternativa si rivolgerà alla Corte di Strasburgo.

Egli ha detto che non solo la Serbia ma anche altri paesi fanno donazioni alla sua chiesa, ma che non desidera rivelare i nomi dei donatori, finché non saranno loro stessi a chiedere di farlo.

"Il governo dovrebbe lasciarci registrare" ha detto, "e non solo controllare le nostre finanze, ma anche ciò che professiamo".

È senz’altro una buona cosa che la Corte suprema abbia ridotto la pena al vescovo Jovan. Si tratta di una semplice logica democratica secondo la quale nessuno dovrebbe andare in prigione per la difesa pacifica di qualcosa che ci fa arrabbiare o ci offende. Ma ovviamente la cosa è più complicata. Dove finisce la libertà di espressione e di credenza e dove inizia l’incitamento all’odio religioso, razziale o etnico è da sempre un tema sensibile e le varie società, a seconda delle differenti circostanze, hanno posizionato il livello di misurazione in modo differente. Ma è chiaro che nel caso della Macedonia, il livello continua ad essere basso.

Vedi anche:
Macedonia: croce e diplomazia

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