L’oleodotto paneuropeo
Un articolo del belgradese Vreme analizza le manovre economiche e strategiche degli stati interessati al progetto dell’Oleodotto paneuropeo (PEOP), che unirebbe Costanza a Trieste, fermandosi nel dettaglio sul "no" della Slovenia. Nostra traduzione
Di Dimitrije Boarov, Vreme 30 marzo 2006 (Panevropski naftovod: natezanje buducih profita)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Il ministro italiano delle Attività produttive Claudio Scajola non è riuscito ad unire a Trieste il 22 marzo i suoi colleghi di Slovenia, Croazia, Serbia e Romania – per firmare, dopo quattro anni di trattative, il Memorandum d’intesa sui preparativi per la costruzione dell’Oleodotto paneuropeo (PEOP), che fornirebbe almeno 40.000.000 tonnellate di greggio all’anno al mercato europeo, attraverso il porto di Costanza sul Mar Nero fino ad un terminal a Trieste.
All’ultimo momento la Slovenia ha rinunciato a sottoscrivere l’accordo. E’ sul territorio di quest’ultima che dovrebbe passare l’ultimo tratto del PEOP, 30 chilometri, dopo averne percorsi 1320. Ad ogni modo il memorandum sul PEOP potrà essere ufficializzato anche senza Lubiana, e questo potrebbe avvenire a Trieste a fine aprile, prevedendo un tracciato che eviti la Slovenia passando con gli ultimi chilometri sul fondo del golfo di Trieste, in modo che la grossa tubatura colleghi direttamente Croazia e Italia.
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Questa possibilità era già prevista da possibili scenari già analizzati, in particolare alla riunione del Comitato interstatale tenutasi di tutta fretta a Roma il 24 marzo scorso, a seguito di trattative durate più di 12 ore. Questo comitato è stato fondato ai cinque paesi coinvolti nel progetto dell’oleodotto ancora nel 2002 quando in base a studi di fattibilità della costruzione di un oleodotto che attraversasse la Romania, svolti dalla compagnia americana HLP Parsons, si è arrivati all’idea che esso, con una nuova conduttura attraverso il Banato, venisse collegato con l’ex oleodotto jugoslavo Pancevo-Omisalj facendo di questo porto croato e di Trieste il terminal di 40.000.000 di tonnellate all’anno di greggio. Questo per sgravare il passaggio, già intasato, di cisterne attraverso il Bosforo. Poi, in base ad ulteriori studi del consorzio Hil, si è arrivati ad uno studio di pre-investimento dove è stato calcolato che la capacità minima e non massima di questo oleodotto sarebbe dovuta essere di 40.000.000 tonnellate di greggio all’anno (più ottimale sarebbero state le 60.000.000 tonnellate). Cion l’elaborazione delle varianti si è arrivati a prevedere una capacità di flusso di 90.000.000 tonnellate all’anno.
Cifre che rappresentano senza dubbio una minaccia ecologica per il nord dell’Adriatico e, anche per la concorrenza di altre direttrici per il greggio che attraverso i Balcani raggiungono il mare (Burgas-Aleksandropulos o Burgas-Valona) col tempo si è rinunciato di destinare il greggio all’esportazione sul mercato mondiale (negli USA innazitutto) ed è maturata l’idea di costruire l’oleodotto Costanza-Terminal di Trieste, dal quale, poi, attraverso l’oleodotto Transalpino (TAL) e la rete italiana di tubazioni, si sarebbe fornito greggio esclusivamente al mercato europeo – e senza un nuovo trasbordo nelle cisterne. Su questa nuova concezione è stato costruito anche il suddetto memorandum di cinque stati, al quale la Slovenia ha momentaneamente rinunciato.
Il "no" della Slovenia
Le autorità slovene non hanno argomentato più di tanto questo loro rifiuto di sottoscrivere il Memorandum. Il ministro sloveno dell’Economia Andrej Vizjak, ad una conferenza stampa tenutasi il 22 marzo scorso, ha sottolineato che la Slovenia non rifiuta il progetto PEOP di principio ma che i pericoli ecologici sono più rilevanti del profitto. Ha poi aggiunto che il Memorandum contrasta con la legislazione slovena, e che quindi le autorità slovene non possono assicurare di ottenere, per la fine del 2007, tutti i permessi edili per la costruzione dell’oleodotto e, infine, che la sottoscrizione del Memorandum "significherebbe che Trieste divenga un porto d’esportazione, cosa che nessun paese mediterraneo desidera". Vizjak inoltre ha sottolineato che la Slovenia prima di tutto è interessata a sapere chi sarà l’investitore principale nel PEOP, con il quale vorrebbe "chiarire alcuni dettagli e gli eventuali vantaggi economici dell’Oleodotto paneuropeo".
A questa dichiarazione di Vizjak ha reagito sul quotidiano economico "Finance" di Lubiana Slobodan Sokolovic, vice ministro per il settore energetico del Governo serbo nonché membro del Comitato interstatale. Sokolovic ha dichiarato di comprendere i timori del ministro Vizjak, ma ha aggiunto che i rappresentanti sloveni non hanno mai fatto nessuna osservazione concreta su alcuna delle indicazioni inserite nel Memorandum; che in questo documento non è per niente previsto l’obbligo di nessuno stato, e quindi nemmeno della Slovenia, di assicurare entro la fine del 2007 le concessioni edilizie o altri permessi per la costruzione dell’oleodotto; che proprio uno degli scopi del Memorandum è quello di arrivare al parametro che chiarirà i rischi e i vantaggi per ciascuno stato che prende parte ai lavori; che è completamente errato che questo oleodotto farà di Trieste un porto di esportazione del greggio, e che per la Slovenia un rischio ecologico molto più grande è che in questo porto oggi arrivino più di 200 grandi cisterne all’anno, invece che far passare il petrolio in condotte che attraverso il territorio della Slovenia, senza mai entrare in mare, arrivano diritte in Europa.
Mercanteggiamento
In realtà probabilmente per cosiddette "ragioni diplomatiche" Sokolovic ha soltanto evitato di sottolineare quello che emerge chiaro dalle dichiarazioni di Vizjak: la Slovenia cerca di conservare un terreno di manovra per "ricattare" gli investitori allo scopo di realizzare un profitto il più alto possibile in questo "affare continentale", perché il guadagno che si può attendere dal passaggio di solo 30 chilometri di tubature dell’Oleodotto paneuropeo le sembra troppo basso al confronto dei grandi interessi che insistono affinché quest’ultimo venga costruito: siano essi in Romania, in Serbia, in Italia, e anche in Croazia.
Il timore che sulla strada di questa (ancora) complicata idea "transbalcanica" l’ostacolo maggiore sarebbe stato la Croazia, che da tempo ha risolto i problemi di fornitura interna attraverso il porto di Omisalj e l’oleodotto jugoslavo, è venuto meno quando è diventato palese che Zagabria non avrebbe potuto ignorare i suoi "interessi verdi": è infatti fallita l’idea del famoso oleodotto russo-europeo Druzba con Janaf (attraverso l’Ungheria) a causa delle efficaci resistenze degli ecologisti croati che hanno fatto in modo che il porto di Omisalj divenisse punto d’esportazione del petrolio russo. In quel momento quando dal gioco del PEOP è uscito Omisalj, si è aperta la questione di una migliore valorizzazione economica dello Janaf sul territorio croato. Il profitto del trasporto di transito annuo di oltre 40.000.000 tonnellate di greggio del bacino caspico verso l’Europa sarebbe certamente tre volte maggiore di quello che la Croazia ha oggi, fornendo attraverso Janaf soltanto la sua raffineria di Sisak, quella bosniaca di Brod e la raffineria serba di Novi Sad e di Pancevo (che oggi ha un flusso di sole circa 5.000.000 tonnellate all’anno, con la prospettiva che la quantità venga raddoppiata nel prossimo decennio). La Croazia (fra l’altro quasi come la Serbia) possiede un tracciato e un’infrastruttura già pronti per adattare l’oleodotto ad una capacità maggiore di quella esistente, così non avrebbe molti nuovi problemi in merito alla costruzione del PEOP.
Slobodan Sokolovic per "Vreme" dice di essere ottimista e ritiene che gli interessi energetici europei nella prossima decade saranno dominanti (…) Ricorda inoltre il documento dell’Unione europea (Green Power-Towards European Strategy for the Security of Energy Supply) nel quale si afferma che la dipendenza energetica dell’Unione europea entro il 2030 aumenterà dal 50 al 70% e che le forniture di petrolio e di gas rimarranno condizioni essenziali per la stabilità energetica, e che quindi vanno garantite con la costruzione di nuove reti di oleodotti e gasdotti.
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La questione del flusso
Concentrando l’analisi agli oleodotti più importanti per l’Europa, Sokolovic ricorda che è in futuro ci si aspetta che aumenti la capacità dell’oleodoto Druzba sia verso nord (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Germania) che verso sud (Ungheria, Slovacchia, Ceca e oltre verso Austria e Germania).
Si ritiene però che neppure un possibile aumento della capacità della Druzba sarà sufficiente. Anche perché attraverso il territorio russo passa sempre di più l’esportazione del petrolio proveniente anche dalla regione caspica e lo si fa attraverso i porti del Mar Nero. Per ciò i nuovi oleodotti si devono costruire in direzione Mar Nero-Europa, e in quella direzione Sokolovic crede che il PEOP sia interessante per gli investitori. Naturalmente l’Europa si rifornirà anche attraverso altre direttrici della regione caspica, attraverso la Turchia ecc. Anche sul territorio dell’UE bisognerà costruire nuovi oleodotti (Fos Sur Mer-Karlsrue con il collegamento sul TAL a Inglstat, Rotterdam-Vaselik, con la connessione sulla conduttura da Amburgo, Rostok-Lena). In questa rete entra anche la nostra direttrice, nata sulla base del così detto programma INOGATE dell’UE (Interstate Oil and Gas Transport to Europe), il cui accordo quadro è stato concluso nel 1991 a Kiev, ed è stato accettato da 21 paesi.
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Benché non sia semplice calcolare quale flusso e quale profitto si possano raggiungere esattamente attraverso il PEOP, alcuni calcoli sono semplici da fare. Dato che il prezzo attuale del trasporto di una tonnellata di petrolio per 100 chilometri è di due dollari e mezzo, si può supporre che solo sul nostro territorio, cioè sulle condotte di una lunghezza di circa 200 chilometri, con il flusso previsto, verrebbe realizzato un guadagno annuo di circa 200.000.000 di dollari. Naturalmente il problema più grosso è però trovare gli investitori per raccogliere quei due miliardi di dollari (nell’ipotesi meno costosa) necessari per il progetto. Fra l’altro persino per gli oleodotti intorno ai quali si è ottenuto un accordo di costruzione (Burgas-Aleksandropulos, per esempio), non si sono ancora trovati gli investitori. Anche se, quando si tratta degli oleodotti Costanza-Trieste, già si dice che ci sia l’interesse della Lukoil, e per il gasdotto che eventualmente si costruirebbe in modo parallelo con l’oleodotto, tra gli interessati all’investimento recentemente si è fatto il nome della Société Générale di Belgrado. Però, senza sostegno dei mercati finanziari più grossi (New York, Londra, Francoforte) nessun oleodotto potrà essere costruito.
Il fatto stesso che già oggi ci siano state delle manovre fra gli stati interessati al PEOP suggerisce che tutti si aspettano che ne venga fuori qualcosa. Se si trattasse solo di una bella storia, né gli sloveni tirerebbero così tanto per le lunghe, né gli italiani insisterebbero così tanto.
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