L’Europa, dall’altra parte del Mar Nero
La situazione in Abkhazia oggi, il senso di appartenenza all’Europa, i rapporti con Bruxelles. Osservatorio Balcani e Caucaso ha incontrato a Sukhumi lo storico e politico abkhazo Stanislav Lakoba
Stanislav Lakoba è un noto storico e uomo politico abkhazo. È autore di numerosi saggi sulla storia antica e recente dell’Abkhazia, incluso il manuale di storia utilizzato nelle scuole della regione. È stato candidato vice-presidente al primo turno delle contestate elezioni del 2004. Dal febbraio del 2005 all’agosto del 2009 è stato a capo del Consiglio di Sicurezza del de facto governo abkhazo.
In Abkhazia vi è un sentimento diffuso di appartenenza all’Europa?
L’Abkhazia è probabilmente una delle aree più europee del Caucaso. Questo dipende in primo luogo dalla presenza del Mar Nero, che ha collegato questa terra con l’Europa già a partire dal medioevo. Basta ricordare che nel tredicesimo secolo i genovesi si insediarono nella città in cui ci troviamo, Sukhumi, che allora era nota come San Sebastian.
Quando Nestor Lakoba governava l’Abkhazia, nei primi anni dell’Unione Sovietica, chiamò dall’Italia un grosso numero di persone che sapevano come funzionava un porto, capitani di navi, ecc., e tuttora il vice-direttore del porto ha un cognome italiano.
Ma qual è la situazione oggi?
Gli eventi del 2008, riguardanti il conflitto in Ossezia del Sud, hanno molto rovinato l’immagine dell’Europa. Noi ci consideravamo europei, ma abbiamo sentito che gli europei non ci consideravano tali. È una conseguenza delle dichiarazioni molto secche che i leader europei hanno rilasciato in quei giorni, a partire da Javier Solana, che era stato qui alla vigilia di quegli eventi e conosceva la nostra situazione.
Questo ha influenzato molto l’idea che le persone in Abkhazia hanno dell’Unione europea. Vi è da tempo un approccio negativo nei confronti degli Stati Uniti per via del fatto che in questi anni hanno riarmato la Georgia. Ma agli inizi l’Unione europea aveva preso una posizione meno secca. Non aveva certo dimostrato di essere intenzionata a riconoscere l’Abkhazia, ma era aperta al dialogo.
Quali sono i rapporti tra Abkhazia e Unione europea?
Ci sono stati molti incontri, ma in pratica si è concluso poco. Io stesso ho avuto incontri di ore ed ore con Peter Semneby, alto rappresentante dell’Ue nel Caucaso meridionale, e con i suoi collaboratori, già prima del conflitto del 2008.
Sono strutture molto burocratizzate… devono avere quintali di minute degli incontri che abbiamo fatto e di nostre proposte. Ma non si è mai arrivati a niente di concreto.
Consapevoli della situazione, noi non chiedevamo che la nostra indipendenza fosse riconosciuta subito. Ma anche per quanto riguarda questioni di cultura, scienza, educazione, sport e giovani è proprio indispensabile fare tutto passando per Tbilisi?
E per quanto riguarda le ONG?
Varie organizzazioni non governative locali hanno contatti con strutture europee, inclusa la stessa Commissione. Ricevono dei finanziamenti, talvolta anche piuttosto consistenti.
La relazione con la Russia è invece molto più forte…
Come avevo detto in un’intervista un paio d’anni fa, secondo me il rapporto tra Russia e Abkhazia dovrebbe essere all’incirca lo stesso che c’è tra la Francia e il principato di Monaco, a partire dalla moneta comune. Lo stesso Putin in seguito ha fatto lo stesso paragone.
A Sukhumi sono ancora molto evidenti i segni del conflitto di inizio anni Novanta, si vedono molti edifici distrutti anche nel centro cittadino. Quali prospettive vi sono per la ricostruzione di questa città?
Sukhumi era stata completamente distrutta ai tempi della guerra russo-turca nel 1877 e la città che vedete oggi è stata concepita alla fine dell’800 da architetti russi ed europei. È molto importante che le peculiarità della vecchia Sukhumi non spariscano. Ma già ora ci sono alcuni edifici che rovinano l’aspetto della città.
La ricostruzione ci sarà, ma è un processo strettamente legato ai rapporti con la Russia. Se verrà approvata la legge che permette a cittadini russi di acquistare proprietà in Abkhazia, tutto potrebbe accadere molto rapidamente. Noi non vogliamo che Sukhumi diventi come Sochi o Adler [le principali località turistiche della riviera russa, ndr], dove non c’è spazio né per il gusto né per la cultura. Questo è sicuramente un pericolo. Ci dovrebbe essere un piano generale riguardante l’architettura in città. Ma nessuno vuole aspettare.
E per quanto riguarda la costruzione della democrazia?
La società civile funziona, ci sono giornali indipendenti. Anche se a dire la verità le nostre Ong stanno diventando sempre più filo-governative. La stampa racconta anche l’opinione della società, denuncia cose che non vanno nel verso giusto. Ma buona parte delle Ong locali un po’ alla volta si sono trasformate e si trovano ora alleate con le autorità. Risolvono questioni dialogando direttamente con il governo, ma da questi processi restano escluse stampa e società più in generale.
Le elezioni di dicembre sono state democratiche?
In un certo senso sì, ma non del tutto. Sono state condotte in modo che ci fosse stabilità. Ma non si può dire che la riconferma di Bagapsh sia stata un vittoria netta e chiara.Il problema più grave stava però dentro la stessa opposizione. Ognuno è andato per conto suo e non c’era nessun candidato credibile per cui si potesse votare.
Parlando ancora di Europa, dal punto di vista teorico, le sembra possibile immaginare che un giorno l’Abkhazia entri a far parte dell’Ue?
Certamente sì. Il punto è naturalmente a quali condizioni. Non certo se questo dovrà accadere attraverso la Georgia.
Stanislav Lakoba, lei si sente europeo?
Non è questione di ritenersi o non ritenersi europeo, se lo si vuole oppure no. Certamente, siamo prima di tutto caucasici. Ma come ha detto il poeta Osip Mandelstam, che ha visitato l’Abkhazia nel 1930 in viaggio verso l’Armenia, queste terre appartengono alla cultura mediterranea. Mi occupo anche di archeologia, e questo legame è evidente quando si fanno scavi o si trovano reperti antichi. È una storia che parte dall’antica Grecia e da Roma.
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