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L’esilio di Finci

Sarajevo, la guerra, la pace e l’esilio nelle parole del filosofo bosniaco Predrag Finci, residente a Londra e recentemente ospite in Italia per un convegno

12/11/2012, Božidar Stanišić -

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Predrag Finci è stato uno dei relatori al ventesimo convegno del centro "Ernesto Balducci“ di Zugliano, tenutosi recentemente a Udine e intitolato L’uomo planetario. La sua relazione su La Bosnia e la ex Jugoslavia, a 20 anni dalla tragedia bellica, con uno sguardo sull’Est Europa ha suscitato un notevole interesse del pubblico. Prima di lui sono intervenuti il teologo Vito Mancuso, la prof.ssa Bruna Camaiani e il prof. Gianpaolo Gri. Abbiamo rivolto alcune domande al filosofo bosniaco.

Qual è la sua esperienza della pace, della guerra e dell’esilio?

Molti anni fa vivevo in pace in un paese tranquillo, avevo una buona carriera universitaria e una vita felice, e pensavo che mai mi sarebbe venuta voglia di vivere altrove. Con il crollo del Muro di Berlino, però, nel paese che una volta si chiamava Jugoslavia si cominciarono a costruire dei muri. Niente nella mia vita sarebbe stato come è ora se non ci fosse stata la guerra in Bosnia, e neppure avrei provato la personale esperienza oltre che della guerra anche dell’esilio, né mi sarei confrontato con questioni cruciali dell’esistenza umana in una situazione di confine.

Ho anche cominciato a scrivere in modo diverso, la mia vita mi ha imposto i temi della guerra, della distruzione, del genocidio, della persecuzione, della terra straniera. Mi hanno abbandonato le illusioni e la mia vita è stata popolata da persuasioni amare e dai sogni in cui si intrecciano ricordi e speranze. Da questi hanno cominciato a nascere i miei libri.

Esiste ancora la sua Sarajevo di prima dell’esilio?

Ogni vita si estende tra i ricordi di un’Atlantide e l’Utopia. Anche la mia è così. Vivevo a Sarajevo, una città nella quale gli abitanti prima del 1990 non si classificavano per appartenenza religiosa ed etnica, ma per le loro caratteristiche. Neppure oggi voglio o riesco a pensarla diversamente. Io ricordo una tale Sarajevo. La porto dentro di me. Fa parte di quella parte indistruttibile di me stesso. Ma non sono dispiaciuto della città odierna. Semplicemente non la conosco, non ho molto da condividere con lei o con i suoi abitanti attuali. Però rimpiango la città di una volta, i suoi cittadini, i miei amici che le appartenevano, quella città che ora non vedo più in nessun luogo tranne che nei miei ricordi malinconici. 

Cosa ha rappresentato il nazionalismo in questi anni?

Il nazionalismo non ha prodotto nulla di buono, neppure per le etnie in nome delle quali, a quanto si dice, lottava. Nella sua essenza il nazionalismo corrisponde a un modo prepolitico di pensare, di concentrarsi, in cui ad una forma di totalitarismo, quello comunista, se ne sostituisce un’altra, quella nazionale. Il suo dominio porta solo divisione, sfiducia e odio crescente, ed è assolutamente inefficiente sul piano economico.

Le sue conseguenze, dunque, approfondiscono la crisi sociale, per la quale i portatori di idee nazionaliste sono sempre pronti ad accusare altri. Nei paesi sorti dalle rovine della Jugoslavia dominano ancora populismo e clericalismo, la nazione viene assimilata alla religione, e la mancanza di idee politiche viene colmata con dogmi religiosi. I comunisti di ieri sono i credenti di oggi. E quanto ieri erano comunisti, tanto oggi sono credenti. D’altro canto i saccheggiatori si si sono trasformati nei nuovi ricchi, e la gente povera è più povera che nel passato.

Ha speranze per una Bosnia diversa?

Ci sono numerosi fenomeni negativi, si sentono ancora voci velenose che zittiscono quelle positive. Così molte imprese positive risultano quasi invisibili, però i frutti di questi impegni lasciano delle vere impronte, che saranno decisive per un futuro in cui dovrà nascere una società prospera e democratica. Penso ai vari tentativi di avvicinamento e pacificazione interetnica, alle numerose opere di artisti e all’impegno di operatori e attivisti culturali ai quali, neppure nei tempi più difficili, mancava l’entusiasmo… Penso anche ai molti validi impegni di salvaguardia delle istituzioni culturali in pericolo, ad alcune proposte individuali su nuovi progetti per il sistema scolastico.

Non vorrei dimenticare che esistono alcuni partiti politici e associazioni culturali indipendenti che, malgrado sinora siano rimasti marginali, lottano per costruire le basi per una società civile di cittadini eguali. Si tratta davvero di iniziative promettenti. Credo che, prima o poi, arriverà un momento per cambiamenti radicali in tutti i settori sociali. La crisi politica sarà risolta quando verranno cacciati via i rappresentanti del potere che la nutrono, e la crisi economica finirà quando ne saranno cancellate le cause. La tradizione di un paese e la sua cultura sono più forti di ogni politica, è questo ciò che mi fa sperare per la Bosnia Erzegovina.

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