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L’esercito di Serbia e Montenegro nella nebbia

Un’inchiesta sulla scarsa trasparenza nella gestione degli affari militari all’interno dell’Unione Serbia Montenegro, i possibili scenari dopo il referendum del 21 maggio e i tentativi di stabilire un effettivo controllo civile sui militari e sui servizi di sicurezza

24/04/2006, Redazione -

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Di Pedja Obradovic*, Belgrado, per BIRN, Balkan Insight, 17 marzo 2006 (Titolo originale: "Army Reforms Run Out Of Steam")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta

Le forze armate di Serbia e Montenegro non sono ancora state ricondotte sotto il controllo civile, e l’attuale stato delle cose permette abusi politici e finanziari, ammoniscono esperti militari locali.

Anche se le forze armate sono sotto la responsabilità congiunta di Serbia e Montenegro, l’impegno di quest’ultimo nei preparativi per un voto sull’indipendenza da Belgrado indica che i suoi rappresentanti non partecipano più in modo fattivo al lavoro dell’Unione di Stati.

Ciò ha avuto delle gravi conseguenze sul controllo delle forze armate, dal momento che gli organi parlamentari preposti a questo semplicemente non stanno funzionando.

Il Montenegro ritiene che l’unione a livello statale con la Serbia gli sia stata imposta dalla comunità internazionale, nonostante anni di richieste perché la questione dell’indipendenza venisse sottoposta a votazione popolare.

Il governo della Repubblica, retto da Milo Djukanovic, sostiene di essere entrato nell’Unione solo come soluzione ad interim.

Con un occhio alla propria strategia d’uscita, il Montenegro negli anni recenti non ha mostrato interesse nello sviluppo di istituzioni che monitorassero l’operato dell’esercito comune.

La situazione favorisce coloro i quali, in certi circoli militari e finanziari in Serbia, cercano di approfittare di questo stato di scompiglio.

Nel frattempo, mentre i miglioramenti posti in atto sotto la supervisione della NATO si arrestano, gli analisti della sicurezza sostengono che l’intero processo di riforma militare stia lentamente "sfumando", esattamente come l’Unione dei due Stati.

Un esercito un tempo poderoso

L’Esercito popolare jugoslavo, JNA, un tempo temibile, ha perso il suo carattere multinazionale negli anni ’90, quando fu largamente epurato dei suoi ufficiali non serbi. Prove e testimonianze presentate ai processi condotti dal Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra avvalorano la tesi che l’ultimo presidente della Serbia, Slobodan Milosevic, guadagnò un’influenza decisiva sull’esercito grazie alla presidenza della Repubblica federale socialista di Jugoslavia, SFRY, che funzionava come Capo di Stato collettivo.

Dopo che la JNA si ritirò dalla Slovenia, dalla Croazia, e infine dalla Bosnia ed Erzegovina, fu rinominata Esercito jugoslavo, VJ, al servizio di quello che rimaneva della Jugoslavia, comprese le due restanti repubbliche di Serbia e Montenegro.

Nonostante la presunta influenza dell’esercito sull’apparato decisionale, Milosevic non se ne fidava, e confidava nella polizia come suo principale strumento. Come risultato, la qualità del personale e dell’equipaggiamento militare declinò fino alla fine degli anni ’90.

Ci fu però un cambiamento di rotta nel 1998, quando scoppiò il conflitto in Kosovo e l’esercito ancora una volta venne alla ribalta. Milosevic, allora presidente della Jugoslavia, intrecciò stretti legami con i leader militari alla vigilia dei bombardamenti NATO del 1999.

Ma l’esercito uscì sconfitto dal confronto con la NATO, con i suoi obsoleti armamenti, equipaggiamenti e attrezzature che avevano subìto duri colpi nel corso del conflitto.

La deposizione di Milosevic nell’ottobre 2000 e il trionfo dell’opposizione democratica non riuscirono a portare ad un analogo rinnovamento radicale nell’esercito.

Invece, il nuovo governo serbo di Zoran Djindjic e gli alti ufficiali si guardavano con reciproca diffidenza, e il generale Nebojsa Pavkovic fu rimosso dall’incarico di Capo di stato maggiore nel giugno 2002. Pavkovic è attualmente sotto processo all’Aja per presunti crimini di guerra in Kosovo.

Seguì un altro cambio di nome, quando la VJ fu rinominata Esercito di Serbia e Montenegro, VSCG, dopo la firma della Carta costituzionale dell’Unione di Stati, il 14 marzo 2002.

Con l’uscita di scena di Pavkovic, le prime vere riforme in ambito militare ebbero luogo sotto Boris Tadic, che divenne ministro della Difesa dell’Unione di Stati nel marzo 2003.

L’esercito fu ridimensionato nel personale e nelle attrezzature. Le armi in surplus furono distrutte, e furono avviate riforme tattiche e tecniche.

Le riforme di Tadic miravano a consolidare il controllo civile sull’esercito, con la creazione di nuovi meccanismi che assicurassero il controllo civile e la affidabilità democratica.

Il Consiglio ministeriale dell’Unione degli Stati, che consiste nei presidenti delle due repubbliche, nel presidente dell’Unione degli Stati e nel ministro della Difesa, assunse il ruolo di comando supremo, mentre lo Stato maggiore fu subordinato al ministero della Difesa, guidato da un civile.

Ora il parlamento esercitava una chiara supervisione sul lavoro del ministero della Difesa e sull’esercito attraverso una Commissione parlamentare , mentre una commissione separata fu creata per sorvegliare i servizi d’informazione militari.

Però a partire dal 2003 le riforme si sono arenate, sconfitte dall’indifferenza del Montenegro che ha reso inutili ulteriori sforzi.

La sempre meno chiara relazione tra le due repubbliche ha aperto nuovi spazi per le manovre politiche all’interno dell’esercito, specialmente da parte delle forze conservatrici che si oppongono alla cooperazione col Tribunale dell’Aja.

Queste ultime guidano l’ostruzionismo contro l’approvazione di leggi mirate a regolamentare ulteriormente il controllo sulle forze armate e a dare trasparenza al bilancio dell’esercito.

Servizi di sicurezza fuori controllo?

I nuovi equilibri in campo, con una delle due repubbliche dell’Unione di Stati che apertamente persegue l’indipendenza, hanno ampliato il divario tra l’approvazione di leggi in tema di sicurezza e la loro implementazione.

Una conseguenza diretta di questa disarmonia è la mancanza di controllo sui servizi di sicurezza.

La Commissione per il controllo dei servizi di sicurezza fu formata nel maggio 2004, un anno dopo la costituzione dell’Unione di Stati. Il suo incarico era supervisionare i servizi d’informazione militari, ed era responsabile verso il parlamento dell’Unione di Stati.

Fino ad ora, per ragioni che rimangono oscure, la Commissione si è riunita solo tre volte.

Anche il Consiglio supremo di difesa, composto dai tre presidenti – dell’Unione di Stati e delle repubbliche che ne fanno parte – non è riuscito nel frattempo a nominare un ispettore generale per i servizi di intelligence. Costui o costei avrebbe dovuto nelle intenzioni assicurare il controllo civile e democratico sulle attività di questi servizi.

"Belgrado ha proposto come candidato il professor Zoran Dragisic", ha confidato un’altolocata fonte dell’Unione di Stati. "Ma la Commissione per il controllo dei servizi di sicurezza non ha appoggiato la sua nomina, ed egli non ha mai goduto del supporto delle alte sfere militari".

Rimane oscuro perché, stando così le cose, non sia stato proposto un altro candidato. Una ragione potrebbe essere che Belgrado e Podgorica non riescono a raggiungere un accordo in merito.

La fonte dell’Unione di Stati ha aggiunto che l’attuale situazione di stallo su questo ruolo chiave è andata pienamente a favore dell’esercito.

Il problema del controllo sui servizi di intelligence militari è stata evidenziata dal caso di Ratko Mladic. Pur essendo uno dei massimi indiziati del Tribunale dell’Aja, egli è rimasto in libertà per più di un decennio dopo essere stato accusato di crimini di guerra.

L’ufficio del procuratore all’Aja ritiene che membri della VSCG abbiano aiutato Mladic a sfuggire alla giustizia.

Zoran Stankovic, ministro della Difesa dell’Unione di Stati dall’ottobre 2005, è stato incaricato di scoprire se ciò corrisponda a verità.

Stankovic ha già fatto i primi passi. In gennaio ha abolito il posto di Capo dei servizi di sicurezza all’interno del ministero della Difesa, assumendosi in prima persona l’incarico di sorvegliare l’operato dei due servizi di informazione militari – l’Agenzia di intelligence dell’esercito e l’Agenzia di sicurezza dell’esercito.

Il ministro ha poi ordinato che i due servizi presentassero rapporti dettagliati sul loro livello di cooperazione con il Tribunale dell’Aja.

Stankovic ha anche chiesto ai servizi segreti militari di riferire su membri della VSCG e dell’esercito della Republika Srpska, l’entità serba di Bosnia, che si sostiene fossero in contatto con Mladic. Gli sono stati forniti 50 nomi.

Gli esperti militari hanno lodato i suoi sforzi per mettere sotto più stretto controllo i servizi di sicurezza militari, le cui operazioni nell’arco degli ultimi cinque anni erano rimaste un mistero.

Ma essi avvertono anche che un uomo solo, per quanto determinato, non può riformare simili istituzioni unicamente con le sue forze.

Ljubodrag Stojadinovic, esperto militare ed ex ufficiale dell’esercito, ha detto che Stankovic può ordinare ai servizi di dirgli tutto ciò che sanno. Ma ha anche aggiunto che, nel lungo termine, un effettivo controllo civile richiederebbe lo smantellamento degli attuali servizi di intelligence militare e la costituzione di un nuovo servizio a partire da zero.

Un quadro incompleto

Con l’assistenza della NATO e di esperti occidentali, il Parlamento federale jugoslavo prima, e il Consiglio ministeriale dell’Unione di Stati poi, hanno fin dal 2002 adottato una serie di documenti legali che gettavano le fondamenta per un effettivo controllo civile e democratico dell’apparato militare.

Queste leggi ora regolamentano e stabiliscono la catena di comando all’interno dell’esercito e il sistema di controllo sull’esercito.

Comunque, il sistema di sorveglianza è ancora ai suoi primi passi e il fulcro intorno a cui gira, l’Atto di costituzione dell’esercito jugoslavo, è del 1994 e da allora ha solo subìto degli emendamenti. Ciò significa che il ruolo dell’apparato militare è tuttora definito da un documento di uno Stato che non esiste più.

Miroslav Hadzic, direttore del Centro per le relazioni militari-civili, una organizzazione non governativa (ONG), sostiene che la rete legislativa resta incompleta e non riesce a tenere conto delle nuove circostanze politiche.

Per esempio, l’esercito è subordinato al ministero della Difesa e, sopra di esso, al Consiglio ministeriale, ma non è chiaro a chi debba rendere conto il Consiglio supremo di difesa, ovvero il comando supremo dell’esercito.

In mancanza di una risposta normativa a tali domande, spesso si ricorre ad accordi informali.

La mancanza di chiarezza ha anche condotto ad una assurda situazione in cui la trasformazione delle strutture dell’esercito – a un livello che va dal corpo d’armata alla brigata – sta avvenendo solo in Serbia, mentre il Montenegro non sta compiendo una equivalente riforma del Corpo d’armata di Podgorica.

Il Centro per le relazioni militari-civili, con l’aiuto dell’OSCE Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ndt e del Dipartimento per la sicurezza del parlamento federale, ha ora aiutato a stilare nuove proposte di legge sul Consiglio supremo di difesa, sull’Esercito di Serbia e Montenegro e sui servizi di sicurezza dell’Unione di Stati.

Allo stesso tempo, si sta abbozzando un nuovo progetto di legge sul controllo civile e democratico sull’esercito.

"Questo progetto di legge specifica in dettaglio la neutralità politica ed ideologica dei membri dell’esercito", ha spiegato Hadzic.

Ma ha aggiunto che il prerequisito cruciale per l’introduzione di relazioni democratiche tra civili e militari in Serbia e Montenegro non consiste solo nell’imporre un effettivo controllo civile e democratico sull’esercito, ma anche nella regolamentazione di tale controllo attraverso leggi adeguate.

Nè ci sono segni che la nuova legislazione sarà poi effettivamente adottata. Benché sia stata sottoposta al parlamento, essa è stata presentata solo in forma di proposta di legge.

Il presidente della Commissione parlamentare sulla Difesa, Borislav Banovic, ha replicato a questo dicendo che la discussione stava procedendo.

"Noi ci aspettiamo… che gli esperti prendano parte alla discussione… cosicché questa non è la stesura finale, ma una bozza di lavoro", ha dichiarato Banovic ad Odbrana, organo di stampa del ministero della Difesa.

Interrogato su quando questa legge, e le altre nuove leggi sulla difesa, l’esercito e i servizi di sicurezza sarebbero state presentate per l’approvazione, Banovic ha detto che egli "non poteva indicare date precise".

Hadzic ha detto che le autorità stavano evidentemente temporeggiando, cosa che egli ha collegato ai crescenti interrogativi sul futuro dell’Unione di Stati.

"Il governo montenegrino non è interessato alle riforme", ha detto Hadzic. "D’altro canto, piazzando i propri uomini in posizioni dominanti, come quelle di ministro della Difesa e di vice Capo di stato maggiore dell’esercito, la Serbia si è garantita il controllo politico", ha aggiunto. "Ecco perché anche la Serbia ha ora perso interesse nelle riforme".

Anche se a livello federale esisteva la volontà di agire concretamente, ha aggiunto, i risultati sono stati scarsi a causa delle azioni irresponsabili del ministero della Difesa e dell’ostruzionismo di certi individui.

Due casi evidenziano tutto questo, entrambi legati ai tempi in cui Prvoslav Davinic guidava il ministero della Difesa.

Il primo coinvolse una persona chiamata Branimir Puhalo. La Commissione parlamentare sulla Difesa, formata da deputati di entrambe le repubbliche e incaricata di assicurare il controllo parlamentare sulle attività dell’esercito, richiese un rapporto su Puhalo lo scorso febbraio.

Ufficiale in servizio attivo nella VSCG, egli era stato citato dal responsabile della comunicazione del governo Djindjic, Vladimir Popovic, in un’intervista con TV B92. Nel colloquio, Popovic aveva descritto Puhalo come una delle guardie del corpo di Mladic in tempo di guerra, coinvolto fin da allora nel fornire rifugio al generale fuggitivo all’interno di installazioni militari.

A metà marzo 2005, la commissione ricevette una risposta dal ministero della Difesa.

Però essa non conteneva informazioni sui luoghi in cui Puhalo si trovava tra il 1991 e il 1997 – durante gli anni cruciali in cui sul territorio della ex Jugoslavia venivano condotte delle guerre.

"Ricevemmo questa lettera con un ritardo di quattro settimane, e dopo aver fatto due interventi per rintracciarla", ha detto Vladimir Petkovic, vicepresidente della Commissione parlamentare sulla Difesa.

Il secondo caso riguardò un aspro scontro sulle spese militari. Lo scandalo scoppiò l’estate scorsa, dopo che il ministro delle Finanze serbo, Mladjen Dinkic, definì "la razzìa del secolo" un ordine del ministero della Difesa per ingenti quantitativi di equipaggiamento militare, forniti dalla locale ditta Proizvodnja Mile Dragic".

Dinkic accusò ufficiali dell’esercito ed il ministero della Difesa di aver firmato un contratto che danneggiava gli interessi del Paese acquistando equipaggiamento in quantità superiori al necessario e a prezzi esorbitanti. Una causa è stata intentata contro le persone coinvolte, ma deve ancora fare il suo corso.

Ancora, Banovic sostiene che la Commissione Difesa non fu informata delle intenzioni del ministero della Difesa e dello Stato maggiore, anche se la legge prevedeva che il ministero fosse tenuto ad informare in dettaglio i membri della Commissione.

"Fin da quando fu formata la Commissione, il ministero era tenuto ad informarci su ogni attività del ministero stesso e dell’esercito", ha detto Banovic.

"L’acquisizione di nuovo equipaggiamento è una attività importante", ha aggiunto. "Eppure non siamo stati informati di questi appalti, di questi acquisti… A voce abbiamo fatto delle domande al ministro della Difesa, ma non abbiamo mai ricevuto una risposta soddisfacente".

Quando emerse lo scandalo Banovic, in qualità di presidente della Commissione Difesa, richiese informazioni. "Ma non ricevemmo un rapporto al riguardo se non a metà dicembre", ha concluso.

Il caso ha evidenziato la mancanza di trasparenza nella gestione finanziaria dell’esercito. Il Montenegro contribuisce al bilancio dell’esercito solamente per il cinque per cento, mentre la Serbia fornisce il resto dell’ammontare totale, che nel 2006 è stato stimato intorno ai 500 milioni di euro.

La mancanza di chiarezza su da dove il denaro provenga, e dove vada a finire, porta ad una situazione in cui il ministero della Difesa può presentare rapporti vaghi alla Commissione ministeriale, senza alcun elenco dettagliato delle spese.

Tutto ciò porta a corruzione ed abusi.

Un esempio di questo: nell’estate del 2005 i media parlarono della costruzione a Belgrado di appartamenti troppo lussuosi per importanti ufficiali dell’esercito.

I media sostennero che questi appartamenti erano considerevolmente più grandi di quanto specificato nei progetti ufficiali. L’appartamento di un ex generale, ex vice ministro della Difesa, che avrebbe dovuto essere di 168 metri quadri, risultava essere in realtà di 280 metri quadri.

Il ministero della Difesa autorizzò inoltre i generali e le loro famiglie ad insediarsi negli appartamenti oggetto della controversia, in contrasto con le raccomandazioni del Consiglio supremo di difesa. Quest’organismo aveva esortato l’esercito a scambiare le sue proprietà immobiliari in aree esclusive con proprietà site in zone meno lussuose, allo scopo di realizzare liquidità e per contribuire a risolvere la crisi degli alloggi che colpisce molto del personale militare di rango inferiore.

A peggiorare le cose, molti degli alti ufficiali che avevano ricevuto gli appartamenti già possedevano proprietà immobiliari.

L’analista militare Aleksandar Radic dice che il problema della mancanza di trasparenza nel bilancio militare deve ancora essere affrontato.

"Nessuno sa come comportarsi rispetto al bilancio dell’esercito", ha detto. "Non esistono documenti che mostrino al pubblico la struttura del bilancio".

Anche Miroslav Hadzic ritiene che l’assenza di trasparenza si vada ad aggiungere alla confusione sul modo in cui l’apparato militare spende i suoi fondi.

"Da un lato l’esercito costruisce appartamenti di lusso di 150 metri quadri e più per i suoi ufficiali; eppure più di 20.000 militari in servizio sono senza casa", ha detto Hadzic. "Ci sono soldati professionisti che quasi non hanno di che mangiare".

Hadzic ha sottolineato i problemi col Fondo per la riforma del sistema di difesa, che fu formato a livello di Unione di Stati per gestire la vendita delle proprietà dell’esercito in eccedenza, di modo che le entrate straordinarie potessero essere usate per finanziare altre riforme.

Il Fondo guadagnò le prime pagine dei giornali nell’inverno del 2004 quando cercò di vendere gli stabili dell’Istituto tecnico militare di Belgrado ad una compagnia privata, in cambio di alloggi per il personale militare, il tutto senza nessuna gara d’appalto o asta pubblica.

Dopo un po’ di clamore, l’attività del Fondo fu interrotta, e la vendita delle proprietà dell’esercito in Serbia fu sospesa. Ma in Montenegro esso ha continuato a vendere le infrastrutture militari al più alto offerente.

Aleksandar Radic sostiene che benché non ci sia una legislazione in materia, e nessuno sappia esattamente quali siano le proprietà dell’esercito, Belgrado e Podgorica hanno chiaramente fatto un accordo per iniziare a vendere le proprietà in Montenegro.

"In Serbia, la situazione è totalmente differente", ha aggiunto. "Là, dal momento che i politici non sono riusciti ad accordarsi su chi dovesse controllare la vendita delle proprietà dell’esercito, la vendita non è neppure iniziata".

Radic ha avvertito che erano in gioco enormi somme di denaro.

Ha detto che era in corso una lotta di potere per l’accesso a questo denaro, che aveva portato alla creazione di una coalizione informale di politici e di alcuni ufficiali dell’esercito con interessi economici sulla vendita di immobili dell’esercito e armi in surplus.

"Oggi l’esercito è sotto il controllo di certi circoli politici e finanziari", ha detto.

"Ma ciò è possibile solo in circostanze in cui non c’è un controllo civile e democratico sulle forze armate", ha concluso.

La separazione aiuterà?

Il destino finale dell’Unione di Stati sarà risolto, in un modo o nell’altro, il 21 maggio quando i montenegrini saranno chiamati a votare sull’indipendenza. L’esito del referendum si ripercuoterà direttamente sul fato delle forze armate riunite.

Se i montenegrini voteranno per la secessione, come raccomandato dalla coalizione di governo, le forze armate riunite cesseranno di esistere. La questione sarà allora come dividere risorse e capacità.

A giudicare dalle informazioni disponibili, sembra probabile che l’esercito venga diviso seguendo un semplice criterio – le risorse ed il personale attualmente residenti in ciascuna repubblica rimarranno dove sono. Il governo montenegrino ha apparentemente già preparato un piano per formare un piccolo esercito basato sul Corpo d’armata di Podgorica.
Il 16 marzo il Consiglio supremo di difesa ha annunciato un nuovo pacchetto di riforme militari da implementare immediatamente in Serbia, mentre l’equivalente processo in Montenegro è posposto a dopo l’esito del referendum di maggio.
Nello stesso giorno il generale in pensione Blagoje Grahovac, vicino al governo di Podgorica, ha detto ai giornalisti che il Montenegro non avrebbe sprecato tempo con le riforme ma avrebbe invece iniziato a formare un suo proprio esercito e un suo ministero della Difesa.
Non appena è stato reso noto l’annuncio del Consiglio supremo di difesa, il presidente del Montenegro, Filip Vujanovic, si è autoproclamato comandante delle unità militari attualmente stanziate nel territorio della repubblica. Ma la decisione di Vujanovic ha suscitato polemiche, provocando immediatamente irritate reazioni da parte di Boris Tadic, attuale presidente della Serbia, come pure del governo serbo e del ministro della Difesa Zoran Stankovic.

La maggior parte degli analisti militari concordano sul fatto che, per quanto possa diventare complicato il processo di divisione delle risorse, esso può solo avere un effetto positivo nel lungo periodo sulle riforme militari.

Per come stanno le cose, lo stallo nei rapporti tra le due repubbliche sta impedendo il processo di riforma e la spinta verso una maggiore trasparenza.

Se le due repubbliche dovessero sancire il loro definitivo divorzio, molti degli attuali problemi istituzionali che impediscono le riforme potrebbero essere superati.

*Pedja Obradovic è giornalista di B92 e collabora regolarmente con Balkan Insight. Questo articolo è stato pubblicato col supporto del programma della Freedom House per la transizione democratica e la reintegrazione in Serbia, DTRS

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